Circa 1300 dipendenti del New York Times – si sono rifiutati di tornare in ufficio, minacciando di scioperare se l’azienda non accetterà le richieste del sindacato riguardo smart working e aumenti salariali. “Continueremo a produrre lavoro di alta qualità, che vince premi, ricordando all’azienda che non può cambiare in modo unilaterale le nostre condizioni di lavoro”, si legge nella lettera consegnate dalla Times Guild (il sindacato dei lavoratori) ai vertici della storica testata Usa e firmata dai lavoratori che affermano che continueranno a lavorare in remoto questa settimana, che sarebbe dovuta essere quella del rientro in redazione. Nella lettera del sindacato si ricorda che il rientro in ufficio “essendo una questione di sicurezza e salute sul lavoro dovrebbe essere parte di nostri contratti negoziati”. In risposta, un portavoce del Times ha detto al giornale The Hill che il giornale ha “ascoltato attentamente i nostri colleghi per approntare un rientro graduale e e flessibile in ufficio che garantisca a tutti i dipendenti il tempo e lo spazio necessari per adeguarsi”. Trai lavoratori ci sono reporter e fotografi, redattori e dipendenti del marketing.

Inoltre la testata questa settimana ha offerto ai dipendenti che hanno accettato il piano del rientro in ufficio per tre giorni alla settimana dei “lunch box” con il pranzo gratuito. La mossa ha indispettito ulteriormente diversi dipendenti, che sui social media hanno detto che questo minimo benefit non paga i costi delle benzina, dei trasporti e le altre spese che, con i prezzi in impennata per l’inflazione, dovrebbero affrontare per il rientro in ufficio.

Proprio il Nyt in un servizio pubblicato lo scorso marzo – a due anni dall’inizio della pandemia di Covid – aveva calcolato come “gli ultimi due anni hanno inaugurato un esperimento non pianificato con un modo diverso di lavorare: circa 50 milioni di americani hanno lasciato i loro uffici. Prima della pandemia, nel 2019, circa il 4% degli occupati negli Stati Uniti lavorava esclusivamente da casa; entro maggio 2020, quella cifra è salita al 43%. Naturalmente, ciò significa che la maggioranza della forza lavoro ha continuato a lavorare di persona negli ultimi due anni. Ma tra i colletti bianchi prima del Covid solo il 6% lavorava esclusivamente da casa, mentre a maggio 2020 è salito al 65%” e che in precedenza “l’unica cosa che ha ostacolato accordi di lavoro flessibili è stato il fallimento dell’immaginazione”, di prefigurare altri percorsi e modalità organizzative. Tuttavia, un “fallimento a cui si è rimediato in appena tre settimane a marzo 2020” nel pieno dei contagi da Covid-19.

Così, una volta che finita l’emergenza pandemica s’è riproposto il tema del ritorno in ufficio, s’è anche scoperto che “c’erano una miriade di ragioni per cui le persone preferivano il lavoro da casa, oltre alle preoccupazioni per la sicurezza del Covid” come, per esempio, il fatto di poter godere “della luce del sole”, indossare “i pantaloni della tuta, la qualità del tempo con i bambini o con i gatti, più ore per leggere e correre, lo spazio per nascondere l’angoscia di una giornata o un anno scadente”. E così scriveva il prestigioso giornale statunitense: “Alcune delle aziende che ora tentano di richiamare il proprio personale stanno affrontando un’ondata di resistenza da parte dei lavoratori, incoraggiati a mettere in discussione come sono sempre state le cose, vale a dire, difficili per molte persone”.

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