La solitudine dei numeri primi, già: prendi un portiere, mettigli accanto il titolo del libro e l’hai bello e che raccontato. Ma le storie che piacciono da queste parti spesso sono piccole, lontane da gloria e lustrini ma non per questo banali, anzi. E allora da La solitudine dei numeri primi si scende, si va oltre gli undici del campo a raccontare i dodicesimi: quelli che appaiono poco ma poi diventano fondamentali più degli altri, colonne portanti di una squadra. Nando Orsi è uno dei “dodicesimi” per eccellenza: di quelli che scelgono una storia e di farne parte sempre, a prescindere da tutto il resto.

La storia di Nando Orsi coincide con quella recente della Lazio: 17 anni in biancoceleste a difenderla, quella storia, prima ancora che la porta. “La Lazio ha rappresentato tutta la mia vita calcistica: non rinnego certo i 10 anni di settore giovanile alla Roma, che mi ha forgiato, ma ripeto, la Lazio è tutta la mia vita. Ti entra dentro la Lazio: non si tifa questa squadra da bambino perché vince o perché è facile, ma perché ce l’hai dentro e ti possiede. E’ una storia di lutti e tragedie prima ancora che di vittorie, che sono poche ma belle”.

Alla Lazio Orsi arriva nell’82, a 23 anni, dopo aver lasciato il settore giovanile romanista e aver giocato nel Siena e poi nel Parma. Un’esperienza in una fase difficile per la società biancoceleste, ma che per lui coincide coi momenti più belli della sua vita: “L’esordio in A, il primo derby in una famiglia come la mia, con mamma romanista e papà laziale: finì 2 a 2. Poi c’è anche il momento più brutto: la retrocessione dell’85, avevamo una squadra fortissima, da zona Uefa, ma finimmo in B per questioni di spogliatoio”. Brutto e bello però nel calcio sono concetti spesso aleatori: “Lasciai la Lazio – racconta Orsi – e finii ad Arezzo, in B: qui ho conosciuto mia moglie, quindi resta una delle più belle esperienze della mia vita”.

Non solo il brutto e il bello, anche la gloria. In un racconto come quello di Orsi non può che essere slegata la concezione di “grandezza” da bacheca e lustrini. Sì, perché a chiedergli chi è stato l’allenatore migliore che abbia mai avuto, ad uno che è stato allenato da Zoff, Zeman, Eriksson e che ha fatto assistente a Roberto Mancini Orsi non ha dubbi: “Enzo Riccomini, purtroppo scomparso da poco: ad Arezzo io ero arrivato sentendomi quasi un fenomeno, ero appena sceso dalla A e quindi ero svogliato. Lui mi ha fatto capire tante cose e mi ha rigenerato dal punto di vista umano: non ho dubbi, lui è il migliore che abbia mai avuto. Poi Paolo Carosi. Certo ho lavorato con grandissime persone: Zoff per me è un padre perché l’ho avuto sia come mister che come presidente e lo sento ancora con grandissimo piacere, ma dico Enzo Riccomini su tutti”.

Già, il lato umano: quello che per gente come Orsi è sempre venuto prima di tutti. Di lui Sinisa Mihajlovic ha detto: “Sono fiero quando mi dicono che sono un uomo vero, onesto, che non bara mai, che non volta le spalle e ci mette la faccia. Questa è la mia vittoria più bella, e se questi sono i veri successi di un uomo, allora Nando Orsi è un vincente molto più di tanti protagonisti del calcio che possono vantare un curriculum più lungo o più importante del suo”. E oggi che Mihajlovic viene esonerato dal Bologna in un momento certo non facile Orsi dice: “Un vero colpo alle spalle. Fra il dare e l’avere Sinisa sarà sempre in credito a Bologna, lasciando perdere il fattore salute: il lavoro di Mihajlovic ha portato il Bologna oltre la soglia di quello che i valori rossoblù permettevano. Poi certo, nel calcio non esiste riconoscenza. Sinisa però è un vero uomo e una persona d’onore e per me un amico vero”.

E pure quando si discute di valori tecnici Nando Orsi è “unconventional”: “Il mio compagno più forte? Gascoigne una spanna sopra tutti: ho giocato o lavorato con gente come Nedved, Nesta, Veron, Signori…ma Gazza era uno che se avesse avuto la testa a posto avrebbe fatto una carriera da 4 palloni d’oro. Poi certo, veniva a casa tua a cena e ti meravigliavi alla fine che era stato tranquillo e non era successo niente…poi bastava aprire i cassetti e gli armadi quando era andato via per scoprire che ne aveva combinate di tutti i colori. Ma erano scherzi geniali come geniale era Gazza in campo: non ti potevi incazzare con lui. Peccato abbia buttato via il talento”. E dire che di campioni Orsi ne ha visti: “Boksic? Alieno mica per caso. Quando gli andava era un giocatore meraviglioso, straripante, devastante…però era uno che un giorno ti abbracciava ed eri il suo migliore amico, il giorno dopo ti diceva che non dovevi rompergli le scatole. Lunatico, ma forte davvero”. Suo malgrado eternamente nel repertorio del più grande di tutti i campioni Orsi: era lui che finì intero dentro la porta quando Maradona dipinse uno dei suoi gol più geniali, un pallonetto da 30 metri nel 1985. Tutta vita: di gol presi e di parate, da numero 1 o da 12, una vita spesa per il calcio, visto che lunedì compie 63 anni. “Sì, il calcio è praticamente tutta la mia vita: dalle giovanili, al campo, alla panchina e anche oggi che faccio l’opinionista e mi diverto molto. Non ci resti dentro per caso tutto questo tempo”.

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