Impeccabile, impassibile, imperturbabile. Quell’atteggiamento comunicativo serioso, compunto, a tratti imperscrutabile, che nel tempo abbiamo incautamente definito di understatement all’inglese, sembra essere nato e fatto tutt’uno con la regina Elisabetta. Le sue pacate e salde apparizioni in pubblico, rispetto alle turbolente questioni private della famiglia reale, o anche solo agli avvenimenti politici britannici più eclatanti, hanno tenuto in piedi per decenni la monarchia più sovraesposta e potente al mondo. Meglio un sorriso gratuito in meno che uno sguardo deciso in più. Meglio un po’ di aggettivi roboanti in meno che una lunga e articolata frase in più. Meglio qualche riferimento specifici alla cronaca in meno che qualche citazione biblica evangelica in più. Parola d’ordine: togliere. Ridurre all’essenziale. Infondere fiducia ai sudditi britannici nei momenti di caos senza mai perdere minimamente le staffe. Non che fosse una questione d’età. Solo di un naturale, elastico distacco da un’emotività di pancia impossibile da esibire in pubblico dalle stanze di Buckingham Palace. Un pensiero conservativo, per molti europei considerato vagamente ipocrita, per tanti britannici naturalmente necessario.

Quando l’evento più traumatico della storia recente per gli Windsor accade, quando Diana morì sotto quel maledetto tunnel dell’Alma a Parigi, passarono alcuni giorni ed Elisabetta si esibì in un capolavoro dialettico per dire a nuora perché suocera intenda. Il cuore del breve messaggio televisivo fu questo: “Come tua Regina e come nonna, voglio dirlo con il cuore. Voglio rendere omaggio a Diana io stessa. Era un essere umano eccezionale e dotato. Nel bene o nel male, non ha mai perso la capacità di sorridere e ridere, né di ispirare gli altri con il suo calore e gentilezza. L’ammiravo e la rispettavo, per la sua energia e il suo impegno verso gli altri, e soprattutto per la sua devozione ai suoi due ragazzi”. Sul fatto che una donna non gradita a corte, che una principessa fosse scomparsa, e in quel modo così traumatico, nemmeno un fiato. Eppure nemmeno l’affronto alla più dolce delle spine nel fianco della Corona britannica riuscì a scalfire l’imperiale intramontabile compostezza di Elisabetta.

Quando nel 2021 nel tradizionale messaggio di Natale affrontò la morte dell’amato Filippo smussò amorevolmente i difetti del defunto marito trasformandoli in pregio perfino commovente: “Il suo senso del servizio, la sua curiosità intellettuale e la capacità di individuare l’aspetto divertente da ogni situazione gli erano naturali e irrefrenabili. Quel luccichio malizioso e interrogativo colto nel momento della sua fine è stato luminoso come quando l’ho visto per la prima volta”. Quando Meghan in fuga americana, seduta nel giardinetto di casa di fronte a Oprah Winfrey sottolineò disinvolta che nell’entourage di Sua Maestà vi fossero figure che si erano comportate in modo razzista verso di lei, ecco il sibillino aplomb di Elisabetta, quel doppio passo che prima punge e poi lenisce, tornare in maniera affabilmente sicura: “Le questioni sollevate, in particolare quella della razza, sono preoccupanti. Sebbene alcuni ricordi possano variare, sono presi molto sul serio e saranno affrontati dalla famiglia in privato. Harry, Meghan e Archie saranno sempre membri della famiglia molto amati”.

Difficile scorgere vere e proprie differenze, scostamenti umorali, chiaroscuri emotivi, nelle parole scritte e nelle apparizioni dal vivo della regina. Nemmeno uno zigomo aggrottato e una stilla di emozione fuori posto durante quel primo discorso natalizio trasmesso in tv nel 1957; denso e potente il messaggio in piena epoca Covid che, senza far trasparire emozione alcuna, e allo stesso tempo infondendo sentita e composta vicinanza verso i sudditi, con quel “we’ll meet again” conquistò la vetta della speranza nel futuro in un momento buio. Speranza che oggi risuona come ultimo atto coraggioso di una comunicatrice reale tutta d’un pezzo, impossibile da piegare di fronte ad alcun ostacolo per rimanere vicino alla sua nazione.

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