Dei “pretesti” sono alla base della caduta del governo Draghi. A dirlo, quasi un mese dopo le dimissioni di Mario Draghi, è perfino Sabino Cassese. Il costituzionalista, in un lungo intervento su il Foglio dal titolo “Le forme della transizione. Come sta cambiando la politica italiana”, ha ammesso che “il governo è stato più populista delle forze che lo appoggiavano”. E il tutto, si legge, per andarsene di fatto solo “tre mesi prima della scadenza”. E anche il costituzionalista, che ci tiene comunque a ribadire il suo sostegno e la sua stima al presidente del Consiglio dimissionario (“Aveva tutti i motivi per manifestare il suo orgoglio”) arriva a dire che l’esecutivo “ha avuto un atteggiamento forse troppo orgoglioso“.

L’intervento di Cassese parte da una domanda: “Cosa succede nel nostro sistema politico-costituzionale?”. Segue l’analisi della “fase di transizione” con gli elementi di “continuità” e “discontinuità” e l’obiettivo di stabilire se, quello che viviamo, sia o meno un “turning point” della nostra storia repubblicana. Come furono altri tre recenti: “1922-1924 (dalla marcia su Roma all’ultima elezione politica nazionale prima del fascismo); 1946-1948 (dalla scelta della Repubblica all’entrata in vigore della Costituzione); 1992-1994 (dalla crisi dei tre maggiori partiti del secondo dopoguerra all’inizio della nuova fase della storia repubblicana)”.

E nell’analisi sui tratti “discontinuisti”, Cassese comincia “dalle anomalie della crisi del governo Draghi”. Quindi argomenta: “Le occasioni furono offerte dal termovalorizzatore di Roma e dall’introduzione di un modesto tasso di concorrenza per le concessioni balneari e per l’assegnazione delle licenze per i taxi. Erano pretesti”. Niente di insuperabile, sostiene anche il costituzionalista. Anzi, continua, “il governo avrebbe potuto fare marcia indietro su questi tre progetti, per mettere in salvo programmi molto più importanti”. Poi, “lo stesso governo ha avuto un atteggiamento forse troppo orgoglioso perché, dopo aver ottenuto una fiducia, ha nuovamente posto la questione di fiducia sulla risoluzione Casini. Con la conclusione di avere due volte la fiducia e di ribadire le dimissioni. Tutto questo facendo appello al popolo (me lo hanno chiesto gli italiani) e con un duro richiamo al Parlamento, mettendo in contrapposizione investitura diretta e investitura indiretta, attraverso il Parlamento”. E, conclude, “si potrebbe dire che il governo è stato più populista delle forze populiste che lo appoggiavano, e questo per una differenza minima: il governo Draghi durerà in carica ancora per altri tre, forse cinque mesi (il governo Gentiloni, dopo la crisi registrata del 29 dicembre 2017, continuò a operare fino alla fine di maggio; solo il 1° giugno ci fu il passaggio delle consegne tra Gentiloni e Conte). Una crisi, in sostanza, per una differenza soltanto di tre mesi”.

La crisi “è stata molto più normale se se ne considera il vero motivo”, dice ancora Cassese. E parlando della spaccature del centrodestra (Fratelli d’Italia era all’opposizione, di fatto, di due partiti con cui condivide la coalizione): “Potevano tre forze politiche che si sarebbero presentate coalizzate alle votazioni, nel marzo del 2023, stare due al governo e una all’opposizione? Inoltra, di anomalie di questo tipo ne abbiamo viste tante, perché abbiamo visto crisi di tutti i colori. Infine, proprio il fatto che si tratti di pochi mesi di differenza non fa di questo fattore un elemento di forte discontinuità e peculiarità”. E, “quanto al presidente del Consiglio dei ministri, aveva tutti i motivi per manifestare il suo orgoglio: si era prestato di buon grado a svolgere quel ruolo, esercitando tanto bene il compito di presidente del Consiglio”.

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