Qualcuno nei giorni scorsi in Rete ha scritto: “Non avevano il coraggio di chiamarlo docente leccacu*o, l’hanno definito esperto”. Non so chi sia l’autore di questo slogan ma lo vorrei ringraziare perché ha azzeccato la questione.

Riassumo per chi non avesse ancora messo gli occhi su questa novità. Il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, migliore nel Governo dei migliori, prima di andarsene da viale Trastevere si è affrettato a chiudere la partita del reclutamento e della formazione e ci ha regalato la figura del “docente esperto” che entrerà in vigore tra dieci anni (perciò non ho capito perché tanta fretta). A diventare “esperti” potranno essere solo i docenti di ruolo. Per avere l’etichetta sarà necessario svolgere tre percorsi formativi consecutivi e non sovrapponibili organizzati dagli enti accreditati dall’Alta Scuola di Formazione e superare un esame.

Premio: un assegno annuale ad personam di importo pari a 5.650 euro che si somma al trattamento stipendiale. Ma attenzione, il ministero ha deciso che su 800mila docenti circa solo ottomila potranno diventare “esperti”: Bianchi dev’essere stato ispirato dalla canzone “Uno su mille” di Gianni Morandi quando ha preso questa scelta.

Ora questa norma è discriminatoria, anticostituzionale e pure sciocca. Sia chiaro: nella scuola italiana abbiamo bisogno tremendamente di formazione, ma un Governo serio sceglie su dove puntare, su quali aspetti dell’insegnamento investire le proprie risorse. Un esempio, per chiarezza: se capisco che uno dei problemi è il modello di lezione frontale, lavorerò affinché i docenti si formino sul tema del setting dell’aula a partire dall’esperienza di Mario Lodi e Alberto Manzi.

Qui invece ci troveremo di fronte a un minestrone di enti accreditati (chiaramente vicini o comunque approvati dal ministero) che proporranno uno spettro di corsi tra i più disparati. Un esempio anche in questo caso: se un docente vorrà frequentare il corso proposto da una scuola parentale o da un’associazione di migranti invisa al nuovo governo verdenero, lo potrà fare ma varrà poco più di niente.

C’è da chiedersi poi perché siano stati scelti solo i docenti di ruolo: i precari che ogni anno mettono la pezza alla scuola ancora una volta vengono considerati di serie “Z”. Una discriminazione di non poco conto che fa pari a quella che a diventare esperti potranno essere solo in ottomila.

Vorrei ricordare al Governo Draghi l’articolo tre della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Io non leggo che i precari sono diversi e nemmeno che Peppino può prendere 5.650 euro in più di Mario solo perché il Governo ha deciso di investire in maniera claudicante.

Un ultimo aspetto che, poi, è il più importante: per essere un esperto basta fare tre bei corsi? Chi dona il suo tempo per leggere ogni settimana libri sulla didattica, sulle esperienze di scuola più innovative, sui grandi pedagogisti è solo un perditempo? Chi, quando va in vacanza, anziché stare al villaggio “Marina” decide di visitare la risiera di San Sabba o il museo archeologico della città è solo un bravo ragazzo? Chi decide di formarsi in maniera diversa da come decide il regime è solo un lavativo? Beh, io credo che resterò un grande inesperto.

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