La legge 107/15 (la sedicente “Buona Scuola” di Renzi) fu pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 13 luglio di quell’anno, mentre la gran parte dei docenti della scuola secondaria di II grado era impegnata nell’Esame di Stato. Oggi la mossa estiva è ancor più grave. Nella bozza del decreto Aiuti bis, l’art 4-bis dispone che “i docenti di ruolo che abbiano conseguito una valutazione positiva nel superamento di tre percorsi formativi consecutivi e non sovrapponibili […] possono accedere alla qualifica di docente esperto e maturano conseguentemente il diritto ad un assegno annuale ad personam di importo pari a 5.650 euro che si somma al trattamento stipendiale in godimento. Può accedere alla qualifica di docente esperto, che non comporta nuove o diverse funzioni oltre a quelle dell’insegnamento, un contingente di docenti definito con il decreto di cui al comma 5 e comunque non superiore a 8mila unità per ciascuno degli anni 2032/2033, 2033/2034, 2034/2035 e 2035/2036”.

Ritorna – per l’ennesima volta ed in forma non solo inedita, ma se possibile ancor più arbitraria – il vecchio tema (che ha caratterizzato l’attività del Miur dalla approvazione dell’autonomia scolastica, nel 1999) del “merito” e della valutazione dei docenti – dal “concorsone” di Berlinguer (2000), alla legge Aprea (2008), al comitato di valutazione di Renzi (2015). Per di più, legiferata da un governo che al momento dovrebbe svolgere esclusivamente il “disbrigo degli affari correnti”, essendo state sciolte le Camere e approssimandoci alle imminenti elezioni. Invece, nel caso specifico, ci troviamo al cospetto della coda velenosa di una riforma, quella già approvata e contenuta nel Capo VIII del dl 36/2022, di cui l’istituzione del “docente esperto” rappresenterebbe una delle norme attuative.

Quali necessità e urgenze individua il governo Draghi in un provvedimento che avrà effetto tra dieci anni? La risposta è la solita: ce lo chiede l’Europa! (il mantra che abbiamo sentito ripetere nel corso del tempo per accreditare misure orientate ad una logica neoliberista). Premettendo persino una (inesistente, in realtà) fiducia relativa ai criteri per concorrere alla “incoronazione”, solo una piccola parte dei docenti – dopo aver frequentato un corso triennale di formazione sotto il controllo di una Scuola di Alta Formazione, dopo aver superato un esame ed essere stata valutata da una commissione composta da colleghi, dal proprio dirigente e da un dirigente esterno – potrà essere inserita in una graduatoria e quindi sperare di accedere alla carica: 8mila, ovvero l’1% dei docenti italiani. Tutti gli altri (tutti in-esperti?) rimarranno ancorati alla deprimente condizione salariale, che colloca l’Italia in una delle ultimissime posizioni in Europa. Condizione ancor più grama, considerando la perdita di potere di acquisto di un salario che raggiunge i 2000 euro solo per coloro che sono a un passo dal pensionamento (e nemmeno in tutti gli ordini di scuola).

Insensibile alla vergogna che una simile situazione dovrebbe suggerire, se si avesse realmente a cuore la sorte della scuola della Repubblica, nonché alle emergenze che i tempi impongono e che il Covid ha rivelato (prima tra tutte la necessità di abbassare il rapporto alunni/docente, per evitare le classi-pollaio; poi il suggerimento da parte del mondo scientifico di potenziare i sistemi di areazione in aule gremite e spesso non conformi alle norme di sicurezza), il ministro Bianchi – che si è segnalato ancora in epoca pandemica per le risibili proposte dei “patti di comunità” e della scuola d’estate; nonché per il dl 36/22 già citato che, tra le altre cose, ha ulteriormente complicato il reclutamento dei docenti e la condizione dei precari; per un concorso impostato malissimo, per giunta con prove selettive zeppe di errori; per la sciagurata riforma degli Its, approvata lo scorso luglio – ha preferito progettare un ulteriore passo verso l’irregimentazione dei e delle docenti italiani/e, verso il loro “riaddestramento”, come egli stesso ha avuto modo di dire, individuando una carriera e una eventuale progressione salariale gestita esclusivamente da enti formatori decisi monocraticamente.

Il decreto-legge 36/2022, infatti, istituisce la Scuola di Alta Formazione che si occuperà di promuovere e coordinare la formazione dei docenti e sarà posta sotto la diretta vigilanza di Invalsi e Indire, dunque del Ministero dell’Istruzione. A fronte della costituzione di un ennesimo organismo, con tanto di comitato di indirizzo e relative prebende, l’aumento contrattuale previsto per il personale docente ammonta a 105 euro lordi che, per alcune fasce di personale, si concretizzerà in 40 euro netti.

Come si finanzieranno il bonus e la Scuola di Alta Formazione? Con le risorse del MOF (Fondo unico per il Miglioramento dell’Offerta Formativa), con le risorse della Carta del Docente (i 500 euro annui che Renzi aveva destinato a ciascun docente per l’acquisto di materiale scolastico, culturale e formativo) e dulcis in fundo con il taglio degli organici: l’occasione della denatalità “legittima” il governo di ridurre i numeri delle classi-pollaio, che da una parte il Covid, dall’altra semplicemente il buon senso didattico hanno dimostrato inadeguate alla tutela della salute, della sicurezza, degli apprendimenti. Ma – con una ricetta buona per ogni epoca – si tagliano le cattedre: saranno 9600 i posti che verranno eliminati dal 2026 al 2030.

Tutto questo è previsto dal dl 36/22, di cui la trovata del “docente esperto” rappresenta il frutto: trionfo del pensiero (pedagogico e culturale, nonché politico) unico, scossone definitivo al principio della libertà dell’insegnamento. Il tutto mentre siamo ancora in attesa del Dpcm di attuazione della riforma e del reclutamento, senza il quale gli atenei sono privi di indicazione per attuare quanto disposto dal dl 36/22. Occorre aggiungere altro per sperare che la scuola ritrovi orgoglio e dignità e rialzi la testa?

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