L’articolo comparso il 3 agosto sul sito de l’Espresso, firmato da Simone Alliva – pur nella sua crudezza e specificità riguardo alla situazione per le persone Lgbt+ in Cecenia – ci rimanda a un déjà vu. Ovvero, a una realtà che si è già verificata in altre forme ma con le stesse dinamiche nelle società attraversate da crisi economiche e da transizioni problematiche: la caccia al “diverso” e alla sua eliminazione.

La diversità è vista, infatti, come elemento da combattere perché foriera – dentro la società che la contiene – di disordine. E se tutto è già in crisi, se non ci sono garanzie per il corpo sociale nel suo insieme, se il futuro non è più una promessa ma una minaccia, ciò che va “fuori rotta” viene visto come un problema in più e che può portare ulteriore scompiglio. È gioco facile, dunque, del potere politico puntare il dito sul “diverso” per cementificare consenso attorno al leader di turno.

Trovare una comunità “divergente” su cui far ricadere la colpa è stratagemma che paga tantissimo, in termini di consenso. Se l’identità è la forma stessa dell’essere, la diversità si configura come il suo contrario. E il contrario dell’essere è il “non essere”: una proiezione di morte. E ciò spaventa, a livello inconscio o meno. Basta dunque creare un afflato identitario attorno a un concetto. Un “prima gli italiani”, ad esempio. Poi si cerca il nemico. Nella persona migrante, magari. E le menti semplici abboccano.

Certo, la strada deve essere preparata da tempo. Accadde così alla comunità ebraica, nel secolo scorso. Millenni di discriminazioni e ghettizzazione, poi la pubblicazione dei Protocolli dei savi di Sion, vera e propra fake news (guarda caso nata in Russia) in cui si verificava il progetto giudaico di controllo della società. Quindi, dopo la prima guerra mondiale, la crisi del ‘29 e la devastante situazione economica in Germania, l’uomo della provvidenza arrivò a portare ordine. Scatenando un genocidio e un altro conflitto mondiale. Giusto per capire quanto queste soluzioni siano a impatto zero.

Con la comunità Lgbt+, in Russia nello specifico e a livello globale più in generale, si sta seguendo lo stesso filone, pur con i distinguo che il contesto storico attuale impone. Certo, le comunità arcobaleno hanno diversi diritti in molti paesi del mondo, di vecchia e nuova democrazia. Ma in molti altri, nei paesi africani e mediorientali, per non parlare di ciò che accade in alcune regioni del Sud America, nell’Ue orientale e in Russia, si va dal divieto di coming out alla pena di morte. E se agli ebrei furono imputati i Protocolli già citati, per la nostra categoria è stato inventato lo spauracchio del “gender”. Che, guarda caso, vuole controllare la società attraverso il controllo della sessualità. C’è chi lo chiama, con dicitura nostrana, “pensiero unico”.

In nome del pericolo “gender” che vuole colpire infanti e adolescenti già nelle scuole – lo sapete che un’accusa che si faceva ai “giudei” era quella di rapire i bambini cristiani per usare il loro sangue al fine di impastare gli azzimi, per la Pasqua ebraica? – si corre ai ripari. Già in Ungheria è vietato vendere libri a tematica Lgbt+ se nelle vicinanze c’è una chiesa o un edificio scolastico. In Russia le leggi “anti-gay” hanno subito una stretta ulteriore. Se prima non si poteva parlare di omosessualità davanti ai minori, adesso è del tutto vietato. Affermare di essere gay o lesbica in pubblico costerà la prigione. Sarà possibile concepire la società solo secondo una visione eteronormativa. A proposito di pensiero unico.

Il caso russo-ceceno, con le restrizioni volute da Putin e con le “soluzioni finali” applicate in Cecenia – che non è un paese indipendente, ma una repubblica della federazione guidata da Putin – ci aiuta a capire l’idea di società che si ha a est, oltre i confini dell’Ue. E che si contrappone al modello occidentale, i cui costumi sono narrati come frutto di corruzione morale (anche per colpa delle comunità Lgbt+).

Vediamone un assaggio: “Le persone Lgbt vengono attirate nelle prigioni segrete, rinchiuse, torturate” scrive Alliva nel suo articolo. “Un inferno di unghie strappate, percosse, scosse sui genitali, sedie elettriche fino a che non fanno altri nomi di altre persone Lgbt. Quando qualcuno confessa, parte la ‘zaciska’ che in russo vuol dire ‘pulizia’, il termine viene usato dalle truppe russe per definire le loro spedizioni punitive e i sequestri di persone”. Prigioni, torture e sparizioni in nome della “pulizia”. Non più etnica, ma di genere. Chissà quale precedente ci ricorda.

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