Strano che nessuno l’abbia mai ventilata. Nessuno che abbia proposto la soluzione più geniale, eppure più ovvia. È l’uovo di Colombo, nel senso della capitale dello Sri Lanka già fallito, la mossa del cavallo (o di altro quadrupede) più spiazzante, la regina degli sparigli per un superlativo finale di una legislatura che voi umani…

Allora esplicitiamolo senza fronzoli questo colpo di scena: Mattarella dopo il rituale giro di consultazioni dovrebbe conferire l’incarico di formare il nuovo governo a Giorgia Meloni.

Mettere insieme una maggioranza al suono del rap apocrifo “Io sono Giorgia”, dovrebbe essere una passeggiata in discesa o addirittura un volo a planare. Lei in tutte le interviste concesse a profusione si dichiara pronta, lancia in resta, a guidare il paese. I partiti suoi alleati nel centrodestra sarebbero compatti nell’entusiastico supporto, se dobbiamo prendere per oro (alla Patria) colato le solenni professioni di unità con cui riempiono i media.

La nuova strana creatura dei transfughi grillini si accoderebbe in un tempo record stimabile in 3 secondi e 14 centesimi netti, constatato lo strabordante desiderio di allontanare il calice di fiele delle elezioni anticipate. Idem Italia Viva per motivi presumibilmente analoghi. Per non parlare del folto Gruppo Misto popolato di anime morte anelanti ad un altro giro di giostra prima della definitiva sepoltura politica.

E poi se anche il Pd si aggregasse all’operazione per senso di responsabilità o per qualsiasi altro motivo che la mente fertile degli spin doctor potesse inventare (ce lo chiede Mattarella, la legge finanziaria, la guerra, il Covid, la nonna malata, è finita la benzina, l’invasione delle cavallette ecc.) si darebbe vita ad un’altra versione stroboscopica della maggioranza di unità nazionale. Con una donna a presiedere il governo per la prima volta nella storia d’Italia.

Articolo 1, o come si chiamano al momento i reduci dalemiani (detti anche D’Alema-nani) accuditi da Speranza e Bersani, forse si sfilerebbe, ma non è detto. In fondo un ministero val bene un littorio. Alla peggio si potrebbe invocare il togliattiano appello ai fratelli in camicia nera.

Rimarrebbe da ipotizzare come si posizionerebbero i grillini rimasti fedeli a Conte (e forse a Grillo): presenterebbero i 9 punti a Meloni? deciderebbero attraverso il voto su qualche piattaforma simil-Rousseau? si asterrebbero? fornirebbero un appoggio esterno? o cederebbero al richiamo della poltrona talmente imperioso da rifiutare di dimettersi dal governo a cui hanno negato la fiducia?

Ma quale che fosse il responso, non sarebbero decisivi per varare il gabinetto Meloni.

Invece per il futuro del paese l’azione del suddetto gabinetto sarebbe decisiva. Se Meloni riuscisse a risolvere brillantemente i guai del paese, tra aumento dei tassi di interesse, quarta dose, riforme del Pnrr, guerra in Ucraina, legge finanziaria per il 2023, razionamento del gas, spread in rampa di lancio, inflazione, siccità, termovalorizzatore, tensioni sociali, Landini furioso, salario minimo, pensioni massime, reddito di cittadinanza, politiche attive del lavoro, immigrazione eccetera, andremo scalzi, col capo cosparso di cenere, in ruvida tunica di penitenti a Via della Scrofa per fare umilmente ammenda dei nostri peccati di miscredenti nelle eccelse doti di statista.

Pertanto nella prossima primavera, Meloni potrà presentarsi alle elezioni politiche con un track record stratosferico. A quel punto convincerà anche gli elettori più scettici a conferirle meritatamente la maggioranza relativa, o addirittura assoluta, dei suffragi.

Se invece finisse con un ciclopico buco nell’acqua, quantomeno sarebbe di breve durata, al massimo pochi mesi. Sarebbe una batosta, ma probabilmente rimediabile, dopo le elezioni del 2023, con qualche sacrificio, molta competenza e infinita comprensione delle istituzioni europee. Ma almeno la campagna elettorale si svolgerebbe con l’elettorato vaccinato di fresco contro la variante GM del populismo italico. In definitiva, avremmo una ragionevole probabilità di dribblare il disastro di stampo argentino, che Peron inflisse ai nostri cugini sudamericani. E che perdura tuttora.

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