Qualche settimana fa ho sentito le ruspe nel parco davanti casa mia. Sono scesa e ho chiesto cosa stavano facendo. Mi rispondono che stavano costruendo una ciclabile dentro al parco. Un parco botanico pieno di alberi da frutto dimenticati, un parco per uccelli migratori, con ampie zone dove non si falciava per preservare fiori e insetti, un parco poco antropizzato, dove la gente raccoglieva erbe spontanee e i bambini trovavano angoli di natura intatta dove giocare.

Ebbene dentro questo bel parco ora ci stanno costruendo una ciclabile, larga due metri, una cesura bianca in mezzo al verde. Promettono che non abbatteranno alberi, non subito almeno, gli faranno solo il pelo, con potature in periodo vietato e radici mozzate. Si viene a sapere che non è stato il quartiere, né la scuola, né il piedibus, né le associazioni ambientaliste a chiedere questa ciclabile. Noi da tempo chiedevamo unicamente di allargare lo stradello già esistente e mettere a posto il marciapiede tutt’attorno al parco, (dissestato e impraticabile), chiedevamo di fare una ciclabile su strada e mettere a posto il percorso già pedonale usato dai bambini per andare a scuola.

Tra l’altro leggendo le tavole del Pums approvato a settembre 2021, questa ciclabile in mezzo al parco non era prevista, mentre era invece prevista una ciclabile su strada. Quindi – mi chiedo – come è saltato in mente agli amministratori faentini di usare 180mila euro del ministero destinati ai percorsi casa-scuola per una ciclabile in mezzo al parco? Nessuno lo sa. Però veniamo a sapere che anche in un altro punto della città hanno intenzione di fare un’altra ciclabile-chicane in zona verde, questa volta con i soldi del progetto Bike to Work, evidentemente per allenare i lavoratori a schivare gli alberi prima di arrivare al lavoro. In realtà noi ambientalisti anche in quel caso avevamo proposto una ciclabile molto più comoda, usando lo spazio occupato dai posti auto parcheggiati a gratis lungo la strada. Ma togliere posti auto, si sa, fa tremare le vene ai polsi ad ogni amministratore del bel Paese.

Le auto aumentano di numero e di dimensione, non entrano più nei garage, e gli amministratori, invece che porre un argine, assecondano questa invasione. Così se proprio debbono fare una ciclabile, tolgono il verde. E non importa se poi queste ciclabili sono scomode, a zig zag, arrampicate, spezzettate, magari insicure, non collegate tra loro e non importa quale è il loro impatto ambientale… L’importante è aumentare la quantità di kilometri ciclabili, mostrarsi splendidi, spendere i soldi del Ministero e al contempo non rompere le scatole ai motorizzati. Oltre a bucare parchi e luoghi protetti, l’altra pericolosa tendenza è quella di costruire ciclabili sui tracciati delle ferrovie dismesse. Ferrovie secondarie che sono state smantellate con folle determinazione, dagli anni 60 ad oggi, ferrovie utilissime, che collegavano in modo capillare le zone interne, i piccoli villaggi costieri, utili a pendolari, studenti, turisti.

Dagli Appennini, alla costa adriatica, da Ventimiglia a Genova, alla costa orientale della Sicilia alla Calabria, sono sempre più numerose le ferrovie che sono state dismesse, e ancora adesso verranno arretrate, con tante stazioni ridotte e allontanate dai paesi. E guarda caso morta una ferrovia (se non viene trasformata in un treno storico buono solo per i turisti ricchi), si fa una ciclabile. Le “green way” sono sempre più di moda e i politici ne vanno pazzi. E’ la pezza migliore che ci sia.

Tra gli esempi più controversi di ciclovia, c’è quella tirrenica che parte da Ventimiglia a Latina, e passa nel tracciato ferroviario costiero ligure (ferrovia già dismessa o in via di dismissione con grave danno alla mobilità sostenibile di pendolari, turisti, e studenti). Il tracciato, così come ora è stato presentato al Mit, passerà anche dentro l’area protetta della Lecciona, in Toscana, con un impatto devastante sia sulla vegetazione dell’area che sulla fauna protetta della zona, all’interno del Parco naturale Migliarino San Rossore. Ma anche altre ciclovie rischiano di impattare pesantemente sull’ambiente, tagliando alberi e consumando suolo, e di questi progetti sono responsabili anche grandi associazioni che sono sicuramente molto amiche della bici ma poco dell’ambiente.

Anche la ciclabile del Garda, sospesa sopra le falesie, presenta gravi criticità. Come sottolinea il prof Pileri: “In nome della ciclabilità è legittimo manomettere così pesantemente il paesaggio, scavalcare qualsiasi limite etico, ambientale e paesaggistico e pure di finanza pubblica?” Per un turismo davvero sostenibile, sarebbe quindi molto più utile migliorare e ripristinare la rete di treni regionali secondaria e mezzi pubblici in genere, magari intermodale e con garantito il trasporto bici gratuito.

E’ insomma ora di dire basta al greenwashing ciclabile, e svelare l’ipocrisia delle ciclabili che non intaccano lo strapotere automobilistico, e sono usate come pezza per giustificare ulteriore consumo di natura e dismissione delle ferrovie.

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