Nato? Sì grazie. Intromissioni di Ankara nella politica svedese? Assolutamente no. La tenuta del governo tra le mani di un’unica parlamentare curda, di origine iraniana? Inaccettabile. L’opinione pubblica svedese non viola il galateo sociale che bandisce la politica dagli argomenti conviviali, ma stavolta ci va molto vicino, complice l’avvicinarsi delle elezioni di settembre che risentiranno non poco degli ultimi, epocali, eventi. Per analizzare il dibattito bisogna calarsi nel territorio e fare le dovute proporzioni. Nel Paese nordico manca l’agorà, la consuetudine al confronto-scontro, al dibattito in piazza che caratterizza invece il Mediterraneo, ma per la prima volta il malpancismo collettivo traspare, e non solo per bocca di alcuni politici.

Sono state settimane senza precedenti quelle che hanno visto Svezia e Finlandia sotto lo scacco del presidente turco Erdogan, e quanto il sultano di Ankara sia riuscito a strappare concretamente durante le consultazioni con la premier svedese socialdemocratica Magdalena Andersson e la sua ministra degli esteri Ann Linde, non è ancora chiaro né ai media né ai cittadini. E questo è la prima fonte di malessere per gli svedesi che, soprattutto negli ambienti accademici e in quelli culturalmente più vivaci, si esprimono. “Non vogliamo assolutamente che Erdogan detti regole alla Svezia – ci dice un’insegnante di Uppsala, la città nota per la sua vitalità universitaria – ma tutti siamo contenti dei passi avanti che la Svezia ha fatto verso l’entrata nella Nato. Saremo tutti più sicuri adesso”. Il riferimento insito è alle continue incursioni russe che Putin, negli ultimi anni, ha ordinato nei cieli e nelle acque svedesi, per mostrare i muscoli di Mosca.

A rimarcare il prezzo poco trasparente da pagare alla Turchia in cambio, tra l’altro, della consegna di 73 curdi che Erdogan ha dichiarato terroristi, sono principalmente i media, di Stato e non, seppur con i toni morigerati del politicamente corretto in salsa nordica. La replica della premier è la seguente: “Lavoriamo sempre secondo la legge svedese e secondo le convenzioni internazionali e non deportiamo mai i cittadini svedesi. Se non sei impegnato in attività terroristiche, non devi preoccuparti”. Finora, in Svezia, si era sempre parlato di accoglienza incondizionata. Punto.

Spaventata dal futuro del Paese nella Nato è la Sinistra, la cui carismatica leader Nooshi Dadgostar – figlia di una coppia fuggita dall’Iran – pone l‘accento sul possibile coinvolgimento di giovani soldati svedesi chiamati a combattere guerre non condivise, mentre il generale Micael Bydén, comandante delle forze armate svedesi parla “di importanti cambiamenti da affrontare con l’entrata nella Nato” e ai microfoni del Dagens Nyheter ipotizza la necessità di inviare soldati svedesi nel Baltico. Soddisfatti così gli appetiti ancestrali degli svedesi, noti per la loro neutralità, molto meno per la loro passione per le armi, il loro esercito (tra i più avanzati al mondo) e i loro bunker ancora disseminati nei sotterranei di Stoccolma.

E siamo alla questione curda. Il dibattito è relegato a post sui social firmati dall’Associazione federale curdi in Svezia con l’appoggio di qualche attivista svedese di Sinistra, che accusa il Governo di essersi asservito a Erdogan. L’indifferenza irritata dell’opinione pubblica in merito, però, affonda le radici su una pagina inedita della politica svedese: il ruolo giocato dalla parlamentare curda di origine iraniana Amineh Kakabaveh, in un esecutivo perfettamente spaccato a metà, con lo stesso numero di seggi al centrodestra e al centrosinistra. Kakabaveh, cacciata dal Partito di Sinistra dal 2019 ed ora senza appartenenza politica, aveva criticato duramente la premier per aver ceduto alle richieste di rimpatrio di curdi avanzata da Erdogan. Successivamente, trovandosi nella posizione di potere di fatto aprire una crisi nel Governo di minoranza socialdemocratico, ha fatto pesare il suo voto, e tenuto sulla graticola gli svedesi, increduli del fatto che le sorti del governo fossero nelle mani di una ex rifugiata.

Come paradosso, nel piatto c’era la sfiducia al ministro dell’Interno e della Giustizia Morgan Johansson, accusato dalla Destra di non fare abbastanza per combattere la criminalità e le sparatorie tra bande, frutto a loro avviso di una politica immigratoria debole. Kakabaveh ha “negoziato” la sua astensione, scongiurando la crisi, ma attirandosi la rabbia dei cittadini, pienamente interpretata dal più celebre opinionista politico, Mats Knutson, che nel commentare il fatto nel tg di Stato, ha espresso tutta la sua indignazione senza pudori. Quella degli svedesi finirà molto probabilmente nell’intimità dell’urna elettorale, mentre si gonfia il timore per un’onda nera dei populismi, della xenofobia e degli estremismi. L’ultimo caso mercoledì, con l’assassinio della psichiatra sessantaquattrenne Ing-Marie Wieselgren, avvenuta durante la Settimana di Almedalen, il più importante forum politico che si tiene ogni anno a Visby, nell’isola di Gotland, che porta la firma di un giovane appartenente al movimento neonazista Nordica.

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