di Federico Zanon*

“Mi vergogno del mio familiare [disabile, malato]. Mi sento in imbarazzo per i suoi comportamenti. Provo risentimento nei suoi confronti. Sento che mi sto perdendo la vita. Vorrei poter fuggire.” Ma anche: “Non riesco a dormire bene. La mia salute ne ha risentito. Sono fisicamente stanco/a. Devo assisterlo per mangiare o lavarsi”.

Sono alcune delle domande presenti nel Caregiver Burden Inventory, un questionario utilizzato da trent’anni in tutto il mondo per valutare il carico materiale e psicologico di chi assiste una persona malata. Si trova facilmente online, per chi volesse vederlo.

In alcune zone della provincia di Roma, il questionario è stato sottoposto a famiglie di persone con disabilità provocando reazioni piccate della politica. Secondo il sindaco di Roma Gualtieri “è un questionario sbagliatissimo. Viene dalle Asl, non l’ha fatto il Comune di Roma, è inaccettabile porre domande di quel tipo alle famiglie con figli disabili”.

Certo: un po’ sconcerta che ci si possa vergognare di un familiare con una malattia. Di un figlio disabile, ad esempio. E non è che al familiare faccia piacere provare queste cose. Si preferirebbe non provarle. Ma queste reazioni emotive esistono. Esiste l’amore ma anche l’ambivalenza. Il senso di responsabilità e l’abnegazione, ma anche la voglia di andarsene. La dedizione ma anche la voglia di liberarsi. La comprensione ma anche la vergogna. Chiunque abbia assistito familiari malati ha provato qualcuna di queste emozioni.

Per chi lavora nei servizi per la disabilità o per la salute mentale, è materiale di lavoro quotidiano con le famiglie. Questi sentimenti sono nell’ordine delle cose, in certe situazioni. Ma un familiare può sentirsi molto male nel provarli. Nel mio lavoro ho ascoltato madri e padri piangere per aver desiderato, in certi momenti, la morte di un figlio malato. Fingere che questi vissuti non esistano o giudicarli moralisticamente fa sentire i familiari ancora più soli e sbagliati.

Questi vissuti dovrebbero essere accolti, valutati, elaborati. I caregiver andrebbero sostenuti. Rifiutare o delegittimare i loro sentimenti non è aiuto. Eppure è quello che mi sembra stia succedendo a Roma in questi giorni. Le dichiarazioni del sindaco Gualtieri contro le domande del questionario fanno pensare che non abbia approfondito la questione. E che sia più preoccupato di scaricare presunte colpe sui sanitari che di comprendere. Poi certo: forse a Roma il questionario è stato usato impropriamente. Non sappiamo. Ma non è certo il questionario ad essere scorretto. Definire le domande come “inaccettabili” suona un po’ come definire i vissuti dei familiari ‘inaccettabili’.

Se il sindaco di Roma pensa che sia inaccettabile che i caregiver provino quello che provano, c’è ancora molta strada da fare. Chi fa politica dovrebbe avere la capacità di comprendere anche ciò che la gente non comprende, affrancarsi da posizioni facili e popolari ma sbagliate, e saper tradurre a tutti proprio ciò che è più difficile comprendere e accettare. La fatica di assistere familiari può raggiungere livelli inimmaginabili. Capirlo ci renderebbe tutti più attenti. Raccontarlo è anche compito della politica. La politica sociale non è solo denaro, ma anche diffondere una cultura sociale e solidale. Qui si è persa un’occasione per comprendere, apprendere e accogliere.

*Psicologo e psicoterapeuta

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