Prima Mario Draghi e Ursula von der Leyen, poi Joe Biden. A Gerusalemme l’agenda energetica è molto sentita e la visita del premier italiano, in tandem con la numero uno della Commissione Ue, è servita a rassicurare l’alleato che si dice preoccupato per la postura italo-americana assunta sul ruolo della Turchia come player diplomatico nella guerra in Ucraina e per i silenzi di Roma sull’Iran, soprattutto alla luce dello stop al gasdotto Eastmed.

Dal vertice, incentrato ufficialmente sulla crisi bellica e sull’individuazione di un possibile super mediatore, emerge la volontà di Draghi di raccogliere da Naftali Bennett la vulgata che circola da settimane. Ovvero che il gasdotto Eastmed esclude la Turchia, perciò Washington l’ha stoppato, e non per il costo elevato, ma con una doppia conseguenza: immaginare strade alternative per sfruttare i giacimenti Leviathan e Zohr nel Mediterraneo orientale, oltre a gestire senza sbavature il nuovo potere negoziale consegnato nelle mani di Recep Tayyip Erdogan.

Israele hub del gas
Israele nell’ultimo lustro ha cambiato status, passando da importatore a esportatore di gas naturale alla luce delle nuove scoperte. Per queste ragioni, al di là degli incontri ufficiali avuti da Draghi con il governo, oltre che con il primo ministro dell’Autorità Palestinese, Mohammed Shtayyeh, in Cisgiordania, è significativo il colloquio con Bennett tarato sulle future strategie energetiche da scrivere in maniera definitiva e attuare quanto prima, sia per non restare ostaggio dei prezzi dopo l’addio al gas russo, sia per non zavorrare ancora di più le tasche di famiglie e imprese.

La cooperazione energetica italo-israeliana, dunque, non può prescindere da un altro possibile scenario: terminali terrestri in Israele, Egitto, Turchia e Italia per non perdere il valore aggiunto dei giacimenti monstre come Zohr e Leviathan, da collegare con navi gasiere. Un passo indietro, tecnicamente parlando, rispetto alla prospettiva Tap, ovvero quella di avere un’autostrada che conduce il gas dal produttore al consumatore, ma nei fatti un compromesso, forse al ribasso, per non complicare ulteriormente la partita geopolitica in atto nel Mediterraneo su cui l’amministrazione Biden fatica a mettere un punto fisso.

Geopolitica e ruolo turco
Tutto ruota attorno al ruolo di Erdogan che, ben prima del no all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato, intuendo le grandi potenzialità del gasdotto Eastmed per i suoi competitor, aveva raggiunto un accordo con l’ex governo libico di Fayez al-Sarraj per una zona economica esclusiva tra Turchia e Libia, viziata però da un errore di forma: quello specchio di acque tra i due Paesi amici tagliava di netto il mare dinanzi a Creta, isola greca e membro dell’Ue. Al di là di qualche protesta formale, però, Bruxelles e Washington hanno lasciato fare e oggi che ci sono da affrontare tre macro emergenze come la crisi del grano, quella del gas e quella umanitaria in Ucraina, tutto il resto passa fisiologicamente in secondo piano, anche le rivendicazioni turche sulle isole greche o sul gas a Cipro. Passaggio, questo, che invece è molto sentito da Israele che ha, negli ultimi anni, raggiunto un ottimo livello di cooperazione con Nicosia e Atene.

Per cui il dialogo Draghi-Bennett si è disteso sulla traccia di un più intenso rapporto alla voce gas: i Paesi europei hanno bisogno di “protezione” poiché i costi energetici continuano ad aumentare, incassando l’ok da parte del ministro dell’Energia israeliano, Karine Elharrar, per soddisfare la domanda Ue. Il problema è come portare in Europa i circa 1.000 miliardi di metri cubi presenti in Israele.

Usa e Mediterraneo
Di contro, gli Usa da anni stanno ridimensionando il loro coinvolgimento in Medio Oriente, anche se Biden ha confermato, dopo la visita in Israele, quella in Arabia Saudita, dove il dibattito su petrolio e auto elettriche è geopoliticamente molto rilevante. Biden dovrebbe anche visitare Gerusalemme est, come organizzato dall’assistente del Segretario di Stato per gli affari orientali in Israele e in Cisgiordania Barbara Leaf.

Ma non è più Washington il perno delle strategie nel mare nostrum: si pensi che la Turchia inizierà a trasportare 10 milioni di metri cubi di gas al giorno dal giacimento di Sakarya, nel Mar Nero, al sistema di trasmissione nazionale già dal primo trimestre del 2023. Questo annuncio da parte di Erdogan, fatto mentre andava in scena a favore di telecamere la posa del primo tubo offshore, scompagina ulteriormente un quadro che potrebbe vedere i paesi che si affacciano sul versante euromediterraneo non riuscire a sfruttare il gas copioso presente nelle acque di Israele, Egitto e Cipro a causa dell’ennesimo potere di veto consegnato nelle mani di Ankara.

@FDepalo

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