In queste settimane sono uscite delle dichiarazioni di Elettricità Futura, ramo energetico di Confindustria, che propone di installare in Italia in tre soli anni 60 GW di potenza di rinnovabili, prevalentemente solare ed eolico, invocando addirittura un Commissario straordinario per saltare tutte le procedure autorizzative.

Il fronte ambientalista si è diviso quando Legambiente, Wwf e Greenpeace, con una fuga in avanti incomprensibile, si sono schierate a favore di questa proposta di Confindustria e dell’adozione indiscriminata di Fer (fonti energetiche rinnovabili) in tempi strettissimi, senza tenere conto delle criticità dei territori e a favore del settore privato, quasi tutto in mano alle multinazionali energetiche. Contraddicendo anche la linea che privilegia la realizzazione di 20 GW attraverso le comunità energetiche, un modello molto più equo socialmente, efficace contro la povertà energetica e rispettoso dei territori.

Italia Nostra non sottoscrive questa svolta industrialista e “sviluppista” di una parte dell’ambientalismo italiano. In questi mesi nel meridione del Paese le multinazionali dell’energia presentano miriadi di progetti alle Commissioni di valutazione, intasandone i lavori e privilegiando l’installazione di giganteschi impianti di produzione fotovoltaica su terreno agricolo da parte di grandi aziende. Intanto, il governo e le Regioni devono ancora individuare le aree idonee all’inserimento di queste tecnologie industriali altamente impattanti sul paesaggio e sulla biodiversità.

Una parte dell’ambientalismo soffia sul fuoco dell’emergenza climatica per distruggere il sistema delle tutele paesaggistiche faticosamente costruito in decenni di leggi e di prassi amministrativa. La Soprintendenza Unica, guidata dall’Arch. Federica Galloni, sta svolgendo un lavoro enorme valutando i tanti progetti con grande competenza ed efficienza. Le Soprintendenze territoriali, ormai ridotte al 50% della loro dotazione organica, senza funzionari e senza mezzi grazie alla propaganda che le dipinge sempre come polverosi nidi di inefficienza, sono gli unici uffici in grado di svolgere, con una qualche possibilità di successo, la funzione inderogabile dello Stato di controllo e tutela del paesaggio.

Ma non sono solo le Soprintendenze a porre dei freni all’industrializzazione delle nostre campagne e dei nostri territori più belli. Spesso le autorità locali cercano di ricondurre i progetti che minacciano i loro territori a dimensioni meno impattanti, ma vengono tacciate di essere vittime della sindrome di Nimby. Italia Nostra ha, per esempio, presentato recentemente le sue osservazioni in merito alla realizzazione di un impianto eolico a Orvieto – in sintonia con i sindaci locali, tutti contrari a questo impianto. Mentre le associazioni ambientaliste raccolte nella Coalizione Art. 9 denunciano le gravi storture di una transizione ecologica, la speranza che questa possa portare l’energia al consumatore domestico ed agricolo, azzerando insieme alle emissioni anche la distanza tra produzione e consumo e la dispersione della rete, sembra essere passata in secondo piano, sotto la pressione della guerra e dei rincari energetici.

È del tutto illusorio, però, che i prezzi possano scendere grazie al contributo delle rinnovabili se non si cambia il modo in cui viene determinato il prezzo giornaliero dell’energia. Il modello di transizione elettrico si scontra, purtroppo, con i limiti oggettivi delle infrastrutture di dispacciamento e stoccaggio, per cui parte dell’energia frettolosamente pianificata nel meridione rischia di essere buttata via, con altissimi costi per i cittadini. Come anche l’impatto ambientale e le emissioni di CO2 determinato dal reperimento delle materie prime, dalla produzione, dall’installazione e dallo smaltimento di enormi quantità di turbine eoliche, pannelli solari, batterie e cavi elettrici, mai adeguatamente valutato nel conteggio finale di una rivoluzione verde i cui contorni non differiscono significativamente dalla prima e seconda rivoluzione industriale per devastazione e inquinamento.

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