Cinema

Claudio Santamaria racconta la serie ‘L’Ora – Inchiostro contro il piombo”. E poi confessa: “Vorrei andare a Sanremo come cantante in gara”

Nella nuova serie di Canale5 l'attore interpreta Antonio Nicastro, personaggio ispirato a Vittorio Nisticò, direttore del quotidiano palermitano che negli anni ’50 mise per la prima volta nero su bianco la parola mafia. E a FQMagazine racconta: "L’informazione è un’arma potentissima contro la violenza e l’intimidazione, non a caso il sottotitolo della serie è “inchiostro contro piombo”. L’informazione libera fa paura. E una fiction, se non è intrattenimento puro ma una serie civile, può affiancare l’informazione"

di Francesco Canino

Non è solo la storia di un gruppo di giornalisti ma una grande epopea di coraggio e voglia di verità quella al centro de L’ora – Inchiostro contro piombo, la nuova serie di Canale 5 che ha come protagonista Claudio Santamaria. È lui a interpretare Antonio Nicastro, personaggio ispirato a Vittorio Nisticò, direttore del quotidiano palermitano che negli anni ’50 mise per la prima volta nero su bianco la parola mafia. Sfidando la paura, le convenzioni e il potere costituito connivente con la malavita. “C’era lui alla guida di questa redazione fatta di giornalisti giovanissimi e impazienti di cambiare le loro vite e quelle del Paese, a qualunque costo. Anche mettendo a rischio la loro stessa esistenza. È una storia potente, una serie di impegno civile: per questo ho accettato dopo un minuto”, rivela a FqMagazine l’attore, protagonista della fiction prodotta da Indiana Film con Mediaset, cinque puntate al via da mercoledì 8 giugno.

Santamaria, come ci si prepara per interpretare una storia che ha un portato civile così forte?
Con rispetto e con una dose massiccia di abnegazione e impegno: il coinvolgimento, che è parte essenziale del mio lavoro, è ancora maggiore quando tu vengono proposti certi ruoli. Ti metti in gioco non solo come attore ma ancora come cittadino con una forte coscienza civile.

Antonio Nicastro è ispirato a Vittorio Nisticò, per vent’anni direttore de L’Ora. Cosa l’ha colpita di lui?
Lo sforzo costante per arrivare alla verità, la determinazione, il lavoro che diventa missione. Tanto da rinunciare alla propria vita per amore di giustizia. Per questo ho lavorato cercando di dargli una personalità forte, determinata. E l’aiuto di mia moglie (la giornalista e scrittrice Francesca Barra, ndr), che aveva scritto un libro su Mario Francese, il giornalista ucciso dalla mafia, oltre che la biografia di Falcone, è stato fondamentale.

I giornalisti de L’ora sono i protagonisti di questa nuova serie di Canale 5. Chi sono stati?
Degli eroi che hanno messo la loro vita al servizio di un ideale più grande: in una terra e in un tempo in cui non si poteva nemmeno scrivere la mafia, loro la sbattevano in prima pagina. Erano dei professionisti che mettevano davanti a ogni cosa la forza della verità. Oggi invece siamo circondati da giornalisti che mettono d’avanti a tutto il proprio ego, capaci di armare eserciti di odiatori seriali per le proprie battaglie personali.

Ha più valore una serie tv che parla di fatti legati alla criminalità organizzata o l’antimafia dei “gattopardi”, come li definisce il procuratore Gratteri?
L’informazione è un’arma potentissima contro la violenza e l’intimidazione, non a caso il sottotitolo della serie è “inchiostro contro piombo”. L’informazione libera fa paura. E una fiction, se non è intrattenimento puro ma una serie civile, può affiancare l’informazione: l’estetizzazione di una notizia o di un fatto, messo in scena nell’estetica cinematografica, ha un valore emotivo forte. Ciò che informa spaventa perché accende le coscienze. Per questo dobbiamo proteggere gli eroi dei nostri giorni, che sono i magistrati ma anche giornalisti di testate locali o quei reporter minacciati dalle mafie. E sostenere gli eroi dell’antimafia quotidianamente, perché sono fondamentali.

Il momento più intenso vissuto sul set?
In una puntata viene ucciso un giornalista e il direttore deve parlare alla sua redazione. Nel mezzo della scena mi sono dovuto stoppare, travolto dall’emozione, perché sono scoppiato in lacrime. Non riuscivo a parlare. Quel giornalista era stato ucciso davvero: le mafie hanno distrutto non solo vite, ma anche l’amore, la passione, la bellezza di una terra. Mi sono sentito ferito e raccontare la verità è un atto politico.

Il momento più bello?
Abbiamo girato in condizioni a volte difficili, con piani sequenze complicati, arrivando anche a venti ciack: quando porti a casa scene così complesse, perché vuoi trascinare per mano lo spettatore, vivi un’emozione indescrivibile.

È la sua prima molta da protagonista assoluto di una fiction Mediaset: un caso o una scelta?
Partecipai a un episodio della serie sul sequestro Soffiantini, anni fa. È stato un caso, dettato dai molti impegni.

Il pregiudizio sugli attori che dal cinema passano alle serie tv (e viceversa) è definitivamente evaporato?
È uno snobismo superato: non importa dove racconti delle storie ma come le racconti. La tv è un mezzo, uno strumento. Io ho fatto diverse serie tv e mi sono sempre mosso seguendo un principio: accetto film che andrei a vedere al cinema o serie che guarderei in tv.

Qual è la domanda che le fanno più spesso quando la fermano per strada?
Ultimamente molti ragazzi mi chiedono: “Come faccio a sfondare nel tuo campo?”.

Lei cosa risponde?
Sfondati di lavoro e studio. Io studio da quando ho 16 anni e il mio obiettivo è sempre stato migliorare, approfondire, distruggere e ricostruire, andare in profondità. Il successo facile non può essere un obiettivo, il successo va guadagnato e deve essere sostenuto dalla fatica, sennò non dà soddisfazione. Vedo in tante persone una voglia di protagonismo e una fame di notorietà facile che mi lasciano sconvolto.

Cos’è per lei il successo?
È possibilità di scelta: accettare un progetto o poter dire di no è l’obiettivo vero per un artista. La libertà è fondamentale.

A proposito di scelte e di intuizioni. “A volte ho delle percezioni”, raccontò a proposito della serie su Rino Gaetano.
Andai dalla mia agente e le dissi: “Vorrei interpretare un musicista, voglio un ruolo di quel tipo”. Era quasi un’autoproposta. Lei mi guardò per qualche instante poi disse: “So che stanno producendo una serie tv su Rino Gaetano”. Pochi mesi dopo ero sul set. Fu un presentimento di ciò che poi sarebbe stato.

Ha avuto altre percezioni di quel tipo?
Dissi che mi sarebbe piaciuto moltissimo girare un film d’azione. Poco dopo mi presero per Casino Royale della saga di 007.

In un’intervista ha detto: “L’attore è un esploratore dell’oscurità e deve sapere tenere il filo rosso per ritrovare la strada”. L’ha trovata la sua strada?
Sì, l’ho trovata e quel filo rosso è sempre più grande. Un tempo mi perdevo appresso alle cose, ora ho più chiaro il senso del mio mestiere, sento che il tempo in scena si è dilatato, l’esperienza ha amplificato il mio sentire.

Ha smesso di distruggere e ricostruire?
No anzi, quell’idea non mi abbandona mai. Mi piace mettermi in gioco, metterci la faccia. Mi piace il rischio.

A proposito di rischio: se Amadeus la chiamasse per partecipare a Sanremo 2023 come cantante in gara, ci andrebbe?
Sì, a occhi chiusi, perché è il mio grande sogno. Ci sono stato in passato per presentare dei film e una volta ho cantato De André con la Pfm: è un palco incredibile per l’emozione che provoca. Ci andrei per presentarlo e anche per cantare in gara.

Ha delle canzoni pronte?
Sì, ci lavoro da tempo ed è un progetto che vorrei prendesse forma a breve. La musica e il canto sono uno strumento potentissimo e mi piacerebbe realizzare presto un mio disco.

C’è un prima e un dopo nella sua vita: fino a qualche anno fa si raccontava sempre molto poco, oggi sui social condivide molto del suo privato. Cos’è cambiato?
Semplicemente prima non avevo nulla o poco da raccontare. Sui social c’è un racconto che mi corrisponde, una condivisione di momenti per me importanti o di cose che – detto senza presunzione – penso possano essere fonte di ispirazione. L’incontro con Francesca ha sicuramente cambiato molte cose.

In che modo?
Quando raggiungi la felicità o una soddisfazione, le vuoi condividere con gli altri. Ho sempre inseguito l’amore vero, ho cercato la mia persona, ero uno che da ragazzino ascoltava Somebody dei Depeche Mode, rifuggo l’amore melenso ma mi piace il romanticismo. Nel mio caso poi il lato privato, felicità ed emotività, si riflettono positivamente nel lavoro.

Non è più allergico al gossip, dunque.
Lo sono. Non m’interessa il racconto pruriginoso, non mi piace chi racconta i propri fatti privati perché quello è l’unico modo per far parlare di sé. Non mi piace il gossip che innesca cinismo: appena racconti qualcosa che ha a che fare col tuo privato o la tua esperienza, vieni attaccato sui social. E a me e Francesca è capitato diverse volte, anche su episodi dolorosi.

Come ci si scherma?
Con l’ironia. E poi bloccando: i commenti sgarbati non mi interessano. Cancello e blocco.

Dopo aver scritto un libro a quattro mani, lei e Francesca avete altri progetti in coppia?
Stiamo scrivendo sceneggiatura assieme ma non posso dire altro. Tra di noi c’è anche un forte scambio intellettuale e professionale.

Scelga: preferirebbe vincere un Oscar o vincere Sanremo?
L’Oscar, subito. È il sogno di ogni attore, anche infantile se vogliamo. I premi mi piacciono, ti costringono a migliorare e ad andare avanti. Il premio ti tiene in bilico e a me stare in bilico, non sentirmi mai troppo comodo, piace.

Claudio Santamaria racconta la serie ‘L’Ora – Inchiostro contro il piombo”. E poi confessa: “Vorrei andare a Sanremo come cantante in gara”
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