“Spett.le Redazione, in merito all’articolo sull’imprenditrice Tiziana Fausti, volevo solo fare una considerazione ed una richiesta: fornitemi il contatto dell’imprenditrice in oggetto, smentiremo subito le sue affermazioni e vedremo se lei è in grado di offrire un lavoro con un compenso tale da fare vivere e non sopravvivere un giovane”. È quello che ha scritto a ilfattoquotidiano.it il padre di un trentenne laureato che non trova lavoro “e che da anni viene umiliato con offerte che annichiliscono il genere umano e tuttavia le accetta”. Per ribattere all’imprenditrice bergamasca che ha descritto una gioventù smidollata, indisponibile a straordinari e weekend, “gente che pensa solo a chiedere e basta”. Ma sopratutto per raccontare una generazione, quella di suo figlio che “non chiede weekend liberi e fa orari assurdi per 6 euro l’ora e senza contratto“.

“Generalizzare sul fatto che i giovani non vogliono lavorare è sbagliato. C’è una gran parte di loro che vuole impegnarsi, farsi una famiglia, un’esistenza”. Ci tiene a dirlo, E.C., pugliese, 65 anni, in pensione, una vita da ufficiale in Marina, due figli. E non gli va di ascoltare chi preferisce descrivere i ragazzi italiani come “gente che pensa solo a chiedere e basta”, una delle frasi riportate dal Corriere di Bergamo nell’intervista alla titolare di boutique di lusso. Perché basta e avanza la preoccupazione di vedere il proprio figlio che non riesce a trovare un minimo di stabilità, che rimanda famiglia, figli, sogni. La mail inviata alla redazione è firmata, ma per condividere il suo racconto ha chiesto di rimanere anonimo perché, oltre a quello del precariato se non della disoccupazione, suo figlio “non debba pagare anche il prezzo dell’indignazione di suo padre“, spiega all’inizio di una lunga chiacchierata telefonica. E forse non c’è bisogno di fare i nomi delle madri, dei padri e di tante figlie e figli incastrati nei loro trent’anni o più, perché se abbiamo la fortuna di non riconoscerci nelle loro storie di certo riconosceremo l’Italia che senza il cosiddetto welfare familiare vedrebbe salire ancora quel 18,9 percento di italiani ad elevato rischio di povertà.

“Mi sarei aspettato che dopo una certa età sarebbero stati i nostri figli ad aiutare noi. Invece dopo anni di sacrifici e di studio dobbiamo dargli una mano. È come se pagassimo noi una parte dello stipendio che gli viene negato“, racconta il padre, e intanto lo raggiunge il figlio, tornato da Roma per fargli visita. “Siamo una famiglia di quattro persone: mio fratello si è laureato in economia alla Bocconi di Milano, dove lavora, mentre io ho studiato Cinema spettacolo e nuovi media a Roma Tre“, racconta. “Ho lavorato attraverso agenzie interinali, per società di call center che con la crisi e la pandemia hanno cercato di risparmiare e alla fine hanno lasciano a casa o sostituito quasi tutti”, spiega il figlio, che a 35 anni non demorde e confessa di continuare a lavorare per realizzarsi nel suo campo di studi. “Ma intanto già capita di rispondere ad annunci e di sentirsi dire che sei troppo vecchio per quella posizione”. E ancora: “Ti vogliono giovane eppure tutti chiedono anni di esperienza, mentre la disponibilità a imparare conta poco e all’ennesima volta che ti scartano inizi a sentirti discriminato”. A casa, in Puglia, dove torna ogni tanto per rivedere i genitori, “nei racconti degli amici la mancanza di contratto è la cosa più evidente, spesso sostituito da accordi orali o da firme su fogli di carta senza valore legale”.

Poi ritorna la voce del padre, e si ragiona ancora dell’imprenditrice del Nord e delle sue dichiarazioni “che però non sono un caso isolato, ma parte di un attacco più generalizzato al mondo del lavoro e ai giovani“. “La signora Fausti dice di non trovare personale. Non mi permetto di giudicare questa affermazione, magari è vero, ma mi domando a quale bacino si rivolga, perché mio figlio partecipa a più concorsi possibile, guarda ovunque e senza pretese, ma ad oggi non è mai riuscito a trovare qualcosa che dia un minimo di prospettiva, di certezze per il futuro”. Poi, insieme, descrivono la situazione attuale. “Adesso c’è questo lavoro presso una società di servizi, di front office part-time, con turni al mattino come alla sera, per 6 euro l’ora”. Lordi o netti? “Ci chiamano collaboratori, ci fanno un bonifico ma ad oggi non mi hanno ancora fatto firmare nulla“. Si tratta di qualche centinaio di euro al mese, che non bastano e meno male che c’è la famiglia. “Lui non chiede niente, mai, e meno male che possiamo aiutarlo perché non tutti hanno questa fortuna, che però lede la dignità di questi giovani”, aggiunge il padre. La politica è inutile nominarla, perché nessuno dei due fa affidamento nei partiti e nelle loro promesse. Anzi, commenta il padre sempre citando la Fausti che etichetta i giovani anche per l’acconciatura e i tatuaggi: “Fanno più male certe persone in giacca e cravatta”. Ma non vuol dire che un’idea non se la siano fatta e il figlio vorrebbe che lo Stato intervenisse sulla formazione in modo mirato. “Nei centri per l’impiego mi dicono che sono troppo formato, e non trovi nulla che non sia bassissima manovalanza. E allora serve che qualcuno ci formi per incontrare l’offerta di lavoro che pretende l’esperienza che nessuno ti dà a meno di non pagartela tu. Serve che il Paese si renda consapevole delle esigenze del mercato e che formi le persone dove ce n’è bisogno”.

Trent’anni di flessibilità, stipendi al palo e sommerso che dilaga nel mercato dei servizi. Voi siete qui, potrebbe essere il titolo di questo racconto. Da un lato un padre che non riconosce più il Paese in cui era possibile fare sacrifici insieme a sua moglie, insegnante, e portare alla laurea tutti e due i figli. Dall’altra il figlio che quella vita per ora la immagina soltanto: “Un po’ di stabilità. E’ tutto ciò che chiedo. Per una casa e una famiglia mia, senza avere sempre la spada di Damocle sulla testa. Al momento ho un affetto e un progetto di vita che però aspetta perché non posso mettere su famiglia in questa situazione, non lo voglio fare”. E la frustrazione del figlio diventa la paura del padre: “Temo che passando gli anni e aumentando l’età le offerte di lavoro possano diminuire ulteriormente, vedo ridursi le sue chance di inserirsi come dipendente. E seguo ad arrovellarmi, ma senza crocifiggermi, continuando a vedere il bicchiere mezzo pieno, felice che mio figlio non si lasci abbattere”.

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