Il re del latte Adolfo Greco “era il guru del jet set” di Castellammare di Stabia e gli uffici della sua azienda, la Cil, sembravano “un porto di mare, ne entravano e ne uscivano gli esponenti e gli emissari di tutti i clan del territorio”. Lo scrivono i giudici del Tribunale di Torre Annunziata – presidente del collegio e giudice estensore Fernanda Iannone – nelle 145 pagine di motivazioni della sentenza con la quale Greco è stato condannato a otto anni di carcere per estorsione aggravata dal metodo mafioso. L’imprenditore era accusato dal pm della Dda di Napoli, Giuseppe Cimmarotta, di aver mediato il pizzo tra i clan stabiesi e alcuni imprenditori locali, costretti a pagare o ad assumere personale “segnalato” dalla camorra, e in particolare un nipote del boss Paolo Carolei, clan D’Alessandro, recentemente scarcerato dopo 12 anni di reclusione al 41-bis.

Per decenni, Greco – una vecchia condanna alle spalle per favoreggiamento del boss Raffaele Cutolo e un ruolo di primo piano nelle trattative Dc-Brigate Rosse-Nuova Camorra Organizzata per la liberazione dell’assessore regionale Ciro Cirillo – è stato un imprenditore di riferimento del tessuto socio-produttivo-politico di Castellammare di Stabia. Alcune delle sue più recenti vicende giudiziarie – in primis l’indagine sul progetto di riqualificazione residenziale di una sua proprietà, la ex Cirio – sono citate nelle relazioni della commissione prefettizia che hanno determinato a febbraio lo scioglimento per infiltrazioni mafiose dell’amministrazione comunale stabiese.

La sentenza ora sottolinea che Greco trattava con i boss da “una posizione di parità” e quindi non è risultato credibile quando ha provato ad accreditarsi ai giudici come una vittima, che trattava con i camorristi per evitare conseguenze peggiori. Il Tribunale evidenzia che persino un capoclan dei Cesarano come Luigi Di Martino, detto “‘o profeta” quando conversava con lui gli si rivolgeva con “un tono di riserbo”, persino quando batteva cassa (“vedi tu, se puoi…”). Segno, secondo i giudici, che Greco “non è un taglieggiato qualsiasi; nei suoi confronti, uomo di onore e di rispetto, il vertice del clan agisce con riguardo, chiede scusa”. E accetta una riduzione della tangente a un quinto dell’iniziale richiesta.

A pagina 83 uno dei passaggi chiave delle motivazioni: “Secondo il complesso delle evidenze probatorie, emerse anche in sede di spontanee dichiarazioni rese e nell’esame, il Greco semplicemente non concepisce che non si possa accogliere una richiesta del clan (“quelli non sanno campare”); rivela che la sopravvivenza degli Irollo (i titolari del supermercato che doveva assumere il nipote del boss Carolei, ndr) è derivata dalla protezione da parte dei clan, e quindi lascia emergere che la richiesta dei Carolei è legittimamente dovuta”. E inoltre: “Si deve sottolineare come entrambe le persone offese hanno riferito dell’interessamento del Greco per l’assunzione del Carolei ancora prima del rifiuto emerso nelle intercettazioni, anticipando il contributo offerto dal Greco alla fase genetica della richiesta di assunzione. Questa emergenza probatoria fuga ogni dubbio circa la ricorrenza della condotta estorsiva”. Gli avvocati di Greco, Vincenzo Maiello ed Ettore Stravino, impugneranno la sentenza in Appello.

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