Musica

Marta Donà: “Sono diventata manager per un’intuizione di Mengoni”

La prima domanda che un buon manager deve farsi è: “qual è il mio valore aggiunto a questo progetto?”. È quello che ci spiega Marta Donà che segue i progetti di Marco Mengoni, poi Francesca Michielin, Alessandro Cattelan e lo scrittore e direttore di Esse Magazine Antonio Dikele Distefano

di Andrea Conti

Prima Marco Mengoni, poi Francesca Michielin, Alessandro Cattelan e lo scrittore e direttore di Esse Magazine Antonio Dikele Distefano. Marta Donà non è solo una delle poche manager donne in Italia, ma è anche una imprenditrice. La sua Latarma srl è una società che offre servizi di ideazione, gestione e sviluppo per il mondo dell’entertainment, cultura e eventi e che si struttura con una nuova organizzazione. Tre divisioni, Records, Entertainment e Management, che lavorano in sinergia tra loro. Una società tutta femminile, under 40. Marta Donà ha iniziato come ufficio stampa al Teatro Nuovo di Verona (“facevo le fotocopie”), poi la Laurea e il lavoro all’agenzia di comunicazione MN. L’ingresso in Sony come ufficio stampa nel 2009 e l’incontro con Marco Mengoni nel 2011. Da quel momento la sua vita cambia.

Quindi devi tutto ad una intuizione di Marco Mengoni nel 2011?
Esattamente. Mai nella vita avrei pensato di fare la manager. La mia strada era segnata come ufficio stampa e al lavoro con i giornalisti. Marco Mengoni, di cui ero ufficio stampa, un giorno mi chiese: ‘perché non cambi la tua vita e fai la mia manager?’.

E la riposta fu?
No e glielo dissi. Non mi sentivo in grado di fare quel mestiere. Così gli ho dato una mano e l’ho portato dai più grandi manager di quel tempo. Lui li ha incontrati tutti ed è tornato da me, dicendomi che erano bravissimi ma voleva me. Si voleva fidare. Si doveva fidare. ‘Dove non arrivi tu, ci arrivo io. Proviamoci!’, mi disse. Così ho fatto. Ho lasciato la casa discografica Sony.

Come si lavora su un progetto come Marco Mengoni?
Di base quello che ho imparato sul campo è che è importante la sostanza. Bisogna partire dall’arte. Il primo anno io e Marco l’abbiamo passato in studio e scrivere e collaborare con altri autori e produttori diversi. Che poi è quello che continuiamo a fare anche oggi. È l’aspetto più emozionante: stare in studio, ascoltare e capire quello che l’artista vuole dire. Un giorno Marco è venuto da me e mi ha detto: ‘Questi sono i provini di Atlantico. È la mia vita in questi due anni’. Non ho la formula giusta per tutto ma credo che il nostro mestiere sia anche quello di veicolare il messaggio dell’artista all’esterno, partendo dalla loro idea per arrivare alla comunicazione.

Con Francesca Michielin come sono andate le cose?
Lavoravo da qualche anno con Mengoni, un giorno ci siamo incontrati. Era piccolissima e mi ha chiesto di lavorare con lei. Allora mi sono posta la stessa domanda che feci con Marco: come posso essere un valore aggiunto al progetto? Ci ho riflettuto e ho accettato. In quel periodo Sony voleva mandarla a Sanremo, avevamo tra le mani delle canzoni e secondo me nessuna era adatta a lei. Francesca si è subito fidata di me. Abbiamo fatto una riflessione.

Quale?
Raccontare i suoi 20 anni. Un momento particolare della sua vita ed è così che è nata ‘Nessun grado di separazione’. Poi è arrivato Sanremo, il secondo posto e la chiamata per Eurovision. A quel punto ci siamo detti che era necessario che Francesca facesse un po’ di live affinché sul palco di Eurovision salisse con un po’ di esperienza alle spalle. Così è nato Nice To Meet You un piccolo tour in acustico in cui lei si è sbizzarrita con gli strumenti. Prima di Eurovision abbiamo anche lanciato il piccolo progetto del percorso a tappe in Europa prima di sbarcare a Stoccolma. Francesca è brava, studia, è curiosa, si appassiona agli strumenti. Ed è per questo che quest’anno oltre alla musica si è cimentata anche con Sky per “Effetto Serra” ed ha pubblicato il suo primo romanzo.

Poi è arrivato anche Alessandro Cattelan. Quali sono le differenze tra mondo televisivo e quello musicale?
Per quanto il mondo della musica e della televisione siano diversi, quello che conta sempre è il fattore umano. Con Alessandro abbiamo fatto un ragionamento umano e professionale. Dopo dieci anni di X Factor ci siamo tutti guardati negli occhi e abbiamo capito che un capitolo si era concluso. Abbiamo parlato molto e lui aveva ancora un mondo dentro da tirar fuori.

Com’è nato l’incontro con Cattelan?
Ci siamo conosciuti molto prima. Un pomeriggio, durante le prove di Francesca Michielin a X Factor. Un giorno Ale mi ha chiesto ‘ci penseresti mai lavorare con una persona che non fa musica?’. In effetti non ci avevo mai pensato, ma sicuramente lui era molto più vicino al mio mondo, venendo da Mtv e da X Factor. Poi è passato qualche anno, non ci siamo più sentiti fino a quando è venuto a mancare lo storico manager di Alessandro, Franchino, a cui era legatissimo, come fossero fratelli. Ci siamo risentiti, era provato per la perdita e mi ha chiesto di lavorare assieme. Le cose erano diverse. Non ero più da sola perché fa la mia struttura iniziava a concretizzarsi e irrobustirsi, avevo già qualche persona nel mio team e così è iniziata.

Il debutto in Rai di Alessandro con “Da grande” non è andata benissimo. Cosa non ha funzionato?
Cito Alessandro che ha detto una cosa vera e cioè che ci vuole coraggio a 40 anni a passare dalla piccola piscina sicura (Sky, ndr) al mare aperto (la tv generalista, ndr). Ale aveva anche detto che Rai Uno non aveva certo bisogno di lui per fare ascolti, li fanno benissimo con altri programmi. L’obbiettivo con ‘Da grande’ era portare una piccola fetta del mondo di Alessandro su Rai Uno. Una mossa totalmente nuova. Per lui è stata una grande occasione e un grande banco di prova. Gli ascolti si sono fermati al 12%, lo sappiamo. Non c’eravamo detti tra noi di fare il boom di ascolti ma è stata una grande opportunità atterrare lì, su Rai Uno. Non era facile ed è stato formativo anche con le critiche costruttive e non certo con quelle dettate da pregiudizio.

Quindi cosa ha rappresentato quello show?
Un primo step di un lungo percorso. Il secondo sarà Eurovision e non era scontato esserci. Gli inizi non sono mai facili per nessuno. Spero ci saranno anche altre occasioni di poter lavorare in Rai e loro sono stati bravi a non vincolare con rapporti in esclusiva Alessandro. Per questo è stato possibile fare ‘Una semplice domanda’ per Netflix. Ma non è finita qui.

Perché?
Nei prossimi giorni annunceremo un altro progetto di Alessandro che lo farà conoscere sotto un altro punto di vista.

LaTarma ha curato gli eventi come ‘Musica che unisce’ e ‘Heroes’. Poi è nata la divisione Entertainment. Quali sono i prossimi progetti?
Con me per questa divisione lavora Simona Muti. Eravamo colleghe in Sony poi lei ha lavorato per Balich (azienda di organizzazione eventi, ndr). Live Nation ci dà il supporto produttivo. Faremo un grande evento a maggio, dopo Eurovision, per un grosso cliente. Sarà un incontro a metà tra vita reale e Metaverso. A giugno faremo una grande festa per l’anniversario di un grande manifestazione italiana e internazionale. Anche questo sarà un evento ‘immersivo’ e a ottobre ci sarà un altro evento su Napoli.

Nasce anche Latarma Records, con quali obbiettivi?
Abbiamo una partnership di distribuzione con BMG e stiamo già lavorando con tre artisti. Tutti diversi tra loro e ci tengo a precisare che non faremo alcuna distinzione di genere musicale. Se ne occupano Silvia Gianatti e Francesca Zampieri. In questi anni c’è arrivata tantissima musica da parte di emergenti e non abbiamo mai avuto il tempo di dedicarci all’ascolto. Ora lo potremo fare.

L’etichetta farà da apripista per includere anche Mengoni e Michielin, una volta terminati i contratti con Sony?
No. L’etichetta è dedicata solo agli emergenti. Non c’è alcun progetto in tal senso anche perché con Sony lavoriamo molto bene da anni.

Siete aperti anche ad ex cantanti di talent?
Perché no? Se meritano la nostra attenzione e sono talentuosi, non ci precludiamo nessuna strada. Non è importante vincere o non vincere un talent e lo abbiamo dimostrato con i Maneskin, ad esempio.

“Ho il cuore spezzato” hai scritto quando i Maneskin, dopo la vittoria a Eurovision, ti hanno lasciata. Un fulmine a ciel sereno?
Sì. Ho scritto in quel post davvero tutto quello che sentivo. Il grande dispiacere che ho provato dopo tanta strada fatta assieme e cinque dopo aver pianto insieme, mano nella mano, per la grande vittoria a Eurovision. Nel nostro lavoro vengono prima gli artisti e poi tutti gli altri. Ci si sceglie ogni giorno, proprio come un matrimonio. E proprio come con i matrimoni può capitare che finisca tutto e ci si lasci. Abbiamo lavorato 4 anni e mezzo assieme facendo cose stupende, ma la vita è fatta anche di scelte diverse. Siamo essere umani, io ci metto tanto la componente affettiva. A loro vorrei fare i complimenti per tutti i successi collezionati dopo Eurovision. Spero di incontrarli a Torino e poter stringere loro la mano.

Nella Top Chart 100 del 2020 solo otto donne sono presenti, si scende a 7 nel riferimento al 2021. Non va meglio alle donne dirigenti che sono il 19% del totale. Come mai?
Siamo molto indietro rispetto al resto del mondo. Noi alcuni piccoli esempi di manager li abbiamo basti pensare ad Adele Di Palma e Paola Zukar. Certo, dovremmo essere di più. La verità è che oggi se ne parla molto di più rispetto al passato. Il problema c’è ed è evidente. Personalmente sono molto felice di parlare agli incontri organizzati dalle associazioni e portare il mio esempio di azienda composta da sole donne. Intendiamoci nessuna preclusione verso gli uomini, ma ai miei colloqui quelle che hanno dimostrato una marcia in più sono proprio le dipendenti che poi ho assunto. Non bisogna spegnere i riflettori su questi temi.

Sei la nipote di Claudia Mori e Adriano Celentano. Cosa ti hanno consigliato?
I loro consigli sono proprio come quelli che solo una grande famiglia, come quella che io ho per fortuna, ti può dare. Uno su tutti: non aver paura di rischiare. Io a 25 anni ho rinunciato a un contratto a tempo indeterminato con la Sony. Sono sempre cresciuta con la musica. Mi ricordo che ero in salotto a studiare matematica mentre mio zio incideva a pochi passi da me ‘Io non so parlar d’amore’. Ricordo anche un altro aneddoto. Avevo otto anni ed ero con mio zio Adriano a passeggiare in mezzo agli alberi. Lui all’improvviso mi ha invitato ad osservare. Io non capivo e lui mi ha spiegato: ‘Osserva i colori e assorbili perché saranno le sfumature di tutto quello che sentirai dentro di te’.

Sliding Doors. Se non avessi fatto la manager, quale sarebbe stato il tuo mestiere?
Non lo sa nessuno ma a me piace moltissimo scrivere. Mi sarebbe piaciuto fare la scrittrice. Ho quaderni pieni di miei pensieri e riflessioni. Ho iniziato da piccola, flussi di coscienza. Ancora ora ogni tanto mi sveglio di notte, apro le note del telefono e scrivo tantissimo.

Hai un romanzo pronto?
Chissà (ride, ndr)…

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