Televisione

Gianfranco Funari, così ha rivoluzionato la tv “aprendo le porte al populismo”: il documentario di Sky ne celebra l’ascesa irrefrenabile e la caduta repentina

A 90 anni dalla nascita di Gianfranco Funari su Sky Documentaries (21 marzo, ore 21.15) va in onda un documentario che ne celebra le gesta popolari e le intuizioni clamorose, l’ascesa irrefrenabile e la caduta repentina

di Davide Turrini

Funari, Funari, Funari. A 90 anni dalla nascita di Gianfranco Funari su Sky Documentaries (21 marzo, ore 21.15) va in onda un documentario che ne celebra le gesta popolari e le intuizioni clamorose, l’ascesa irrefrenabile e la caduta repentina. L’idea di Marco Falorni e Andrea Frassoni è quella di rievocare la carriera e il personaggio mescolando testimoni che con Funari hanno collaborato e che ne hanno carpito i segreti (vedi Ermanno Corbella, storico regista dei programmi di Funari per oltre vent’anni; o la ex moglie Rossana Seghezzi), ma anche esperti del tema tv che peccano un filino di passionalità, come se per raccontare Funari bisognasse necessariamente gettare acqua sul fuoco. Limitiamoci a quando Aldo Grasso, che con Beniamino Placido non prese mai molto “in simpatia” Funari presentatore, spiega che quel ciclone che negli anni Ottanta rivoluzionò il modo di fare e intendere la tv, “ha aperto le porte al populismo e non so se possa essere ascritto come grande merito”. Bah… Le categorie concettuali retroattive lasciano sempre il tempo che trovano. Figuriamoci quella del “populismo” applicata alla televisione sul finire degli anni settanta. Ma vivaddio, andrebbe detto. Aboccaperta, vero e proprio paletto anticonformista conficcato nel cuore della tv pubblica, fu invece il primo talk che fece dialogare dignitosamente la gente comune in maniera dicotomica, studio diviso a metà con due spalti uno fronte all’altro, cosa che del resto sono oggi i social, in prima istanza Facebook con ben più arroganza e cattiveria. “Meglio il pranzo tradizionale o un panino mangiato alla svelta?”, “E’ così impossibile smettere di fumare?, “Il risparmio è ancora una virtù?”, “parolaccia scelta liberatoria o cattiva educazione?”, “Uomini e donne possono essere amici?”.

Questi furono solo alcuni dei temi “leggeri” proposti da Funari per quasi otto anni, con le sue tribunette a specchio e il suo modo di occupare lo spazio in scena, passeggiando rapidamente senza un vero copione, raccogliendo su di sé con magnetismo gli sguardi degli spettatori (il pubblico in studio rimaneva quello che era non si candidava ad essere influencer a sua volta) e gestendo magistralmente il chiacchiericcio che oggi invade ogni talk tv che manda dio. E ancora, come ricorda Corbella: Funari guardava in quel quadrato nero della telecamera e “vedeva le persone che stavano a casa”. Oppure come ricorda uno stralcio di un filmino delle vacanze, con la ex moglie Seghezzi che inquadra una spiaggia dove passeggia Funari e lui che cerca la sua 1 (“dammi la 1, dammi la 2”): “È la telecamera che gli piace riprendermi”. Anche quando comincia Mezzogiorno è (1987-1990), e arrivano le ricette mimate da indovinare, e gradualmente gli sponsor da promuovere, Funari continua in questa liaison naturale con l’inquadratura.

Attorno a lui pubblico di gente comune parlante e orchestra numerosa, ma è ancora il suo occhiale con la lente azzurra, la sua salamandra sul bavero, i suoi denti bianchi sfoderati come un ironico flash, a attirare lo sguardo di chi sta a casa e a far salire l’auditel. Con il passaggio in Mediaset (Mezzogiorno italiano) proprio a ridosso di Mani Pulite, e il precedente sgarro antisocialista sul finire di Mezzogiorno è, Funari allarga all’inverosimile il suo concetto di microfono aperto alla gente: il politico viene intervistato in maniera pesante dal pubblico a casa che telefona. Pensate se questa libertà qualcuno potesse prendersela oggi? Inimmaginabile (il populismo di oggi quindi dov’è?). Memorabile comunque la sua distinzione politica di fronte all’editto bulgaro di Berlusconi che caccia Santoro, Biagi e Luttazzi dalla Rai. Funari (cacciato comunque anche da Mediaset): “La differenza tra me, Santoro e Biagi? Se vince la sinistra loro tornano in Rai, io no. Ci torno solo se vinco le elezioni da solo”. Su destra e sinistra Funari diceva (populista?) che “hanno tutti e due gli stessi difettucci anche se gestiti in maniera diversa”. Eccolo allora vivere l’esilio con trasmissioni “piratesche”, cancellato dalla tv mainstream e dal ricordo verace del tempo semplice che fu. È la tv di oggi, quella dei talk politici che sono intrinsecamente e dittatorialmente populisti ma senza gente comune chiamata a parlare, a sostituire il funarismo censurato. Ma è questo che Funari ci ha insegnato, la libertà di dire e far dire quello che si vuole. Molti intellettuali e storici della tv dovrebbero segnarselo sul quadernino.

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