di Monica Valendino

L’orologio nucleare segna cento secondi alla mezzanotte. Non è mai stato così vicino alla fine il metodo messo a punto dopo la fine della seconda guerra mondiale da alcuni scienziati e che misura sulle ventiquattro ore il rischio di annientamento totale dell’umanità. Alcuni di loro sostengono anche che superati i novanta secondi il conto alla rovescia diventi irreversibile. La crisi ucraina è stata determinante nell’accelerata del ticchettio delle lancette, ma non è la sola.

Nel mondo, solo tra quelle più grosse, si parla di almeno venti guerre attive, ma quello che sta accadendo alle porte d’Europa attira tutte le attenzioni, forse perché le potenze in scena sono quelle che potrebbero davvero scatenare l’armageddon atomico: solo questo dovrebbe far gridare alla pace senza lo sventolio di alcuna bandiera, perché queste sono simboli di parti in causa ed è inutile ricordare che quello che viviamo oggi è l’apice di tensioni durate anni e che hanno torti e ragioni da entrambe le parti. Serve gridare alla pace con l’unico simbolo esistente per rappresentarla, quell’arcobaleno che dovrebbe far ragionare che se si rimane sulle proprie posizioni o idee non si arriverà mai a un dunque.

Serve capire la situazione e i propri sbagli senza dimenticare che troppo spesso in Occidente ci si è lasciati trascinare dall’emotività per giustificare una guerra. Basti ricordare quando Colin Powell agitò davanti ai membri delle Nazioni Unite una fialetta (forse puzzolente) per provare che Saddam Hussein aveva armi chimiche o biologiche. Si fece la guerra, che costò tantissimo in vite umane e ancora oggi ha un costo per la ricostruzione (mai avvenuta), senza però mai trovare uno straccio di arma di quel tipo in Iraq. Ipocritamente si è parlato di “esportazione della democrazia”, che stride con il concetto liberale che si vuole esprimere con l’autodeterminazione dei popoli.

L’ipocrisia che regna oggi è anche peggiore, perché si traduce in azioni che possono solo peggiorare la situazione: basti pensare al bando alla cultura o allo sport russi come se fossero complici della guerra e non portavoce di un dialogo alternativo a quello diplomatico che sta fallendo miseramente e forse volutamente. La pace non ha colori di parte così come non dovrebbe averne la solidarietà. E’ bellissimo sapere che ci sono molti che stanno mettendo a disposizione case o alberghi per ospitare i profughi ucraini. Ma è ipocrita voltarsi dall’altra parte quando si sottolinea che ci sono profughi che arrivano dall’Africa e che annegano nel Mediterraneo, oppure che se arrivano vengono ghettizzati e assembrati in centri che di solidale non hanno nulla perché nessuno li vuole.

Ipocrita è parlare di dialogo e giustificare la cessione di armamenti pesanti e letali ai combattenti ucraini, senza pensare che tra essi ci sono anche quelli che hanno contribuito ad aumentare le tensioni negli anni con Mosca e senza pensare che la sola consegna è rischiosa; senza scordare, infine, che in futuro gran parte di queste attrezzature belliche potrebbero finire sul mercato nero o in mano a terroristi o altri guerriglieri.

Papa Francesco si sta sgolando nel ricordare che se davvero ci vogliamo definire cristiani (ortodossi o cattolici che siano) l’unica via per trovare una soluzione è non usare le armi, anche se questo costerà una rinuncia nelle proprie rivendicazioni. “Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello è ancora nelle tenebre e se un cieco conduce un altro cieco cadono ambedue in un fosso”, disse Gesù, ma oggi appare ipocrita anche chi si definisce suo seguace e parla di guerra.

E’ l’ipocrisia il nuovo virus per il quale dobbiamo trovare un vaccino, perché annebbia la ragione e accelera soltanto l’avvicinarsi a una fine che ad oggi appare quasi inevitabile, perché nessuno sembra avere il coraggio e la volontà di arretrare sulle sue posizioni.

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