di Monica Valendino

In tempi di guerra la propaganda mediatica da entrambe le parti impedisce di guardare con obiettività quel che accade, prerogativa imprescindibile per capire la situazione e arrivare a una soluzione diplomatica anche quando risuonano le bombe. Così l’Occidente fa apparire Putin come un nuovo Hitler e in Russia il presidente non perde l’occasione per descrivere l’altra parte come “l’impero delle bugie”. Forse servirebbe fare chiarezza ai cittadini perché la verità è singolare. Le sue versioni sono non verità.

Va quindi ricordato bene, e senza giustificare per questo l’attacco militare in atto verso l’Ucraina, che la crisi ucraina è la naturale conseguenza dell’incomprensione occidentale degli interessi e delle priorità russe, volutamente trascurate, con gli Stati Uniti da sempre incapaci di intendere la superpotenza militare come uno stato con cui collaborare; anzi, da Bush passando per Obama e per arrivare a Biden, le varie amministrazioni hanno sempre fomentato un clima russofobo bene espresso anche nei film hollywoodiani. L’attuale presidente Usa poco dopo il suo insediamento ha definito “assassino” Putin senza nessuna reazione interna per cercare di sminuire tale affermazione.

Certamente ci sono stati errori da entrambe le parti nella gestione dell’emergenza che si è acutizzata nel 2014: la protesta di piazza a Kiev contro corruzione e povertà venne rapidamente trasformata in un vero e proprio campo di battaglia per rovesciare il presidente eletto Yanukovich con il sostegno economico degli Usa – come confermato dall’allora assistente del segretario di Stato, Victoria Nuland, che al National Press Club di Washington, nel 2013, affermò senza timori che gli States avevano investito cinque miliardi di dollari “al fine di dare all’Ucraina il futuro che merita”. Miliardi che si sommavano a quelli distribuiti attraverso la Nato per allargare il suo raggio d’azione sempre più a est, forse con l’intenzione di spingere la Russia a cedere (improbabile) o a cercare sbocchi di conquista verso la Cina (impossibile). Una strategia della tensione a stelle e strisce con il placet della placida Europa, che non si è mai resa conto degli equilibri che devono rimanere in atto, come avevano cercato di stabilire dopo la fine dell’Urss Gorbaciov e Bush Sr, purtroppo senza però mai arrivare a mettere nero su bianco l’intenzione di entrambi di non far mettere le bandiere della Nato nei paesi dell’ex Patto di Varsavia.

Va inoltre rimarcato che la crisi ucraina è da cercarsi quindi nei rapporti sempre più volutamente logori imposti dall’Occidente, che in nome di una non ben chiara “democrazia”, ha pensato più ai suoi interessi economico-militari che ad altro. Così le intenzioni iniziali tra Nato (rappresentata sempre dagli Usa) e Russia sono venuti sempre meno: inizialmente si era stabilito che l’Osce avrebbe rappresentato una organizzazione chiave, responsabile della creazione di un nuovo sistema di sicurezza in Europa.

In secondo luogo il Trattato sulla limitazione delle armi convenzionali in Europa (Cfe) era individuato come garante essenziale dell’equilibrio delle forze, ma soprattutto questo punto era considerato la pietra angolare per arrivare alla questione dell’autodeterminazione dei singoli paesi (fortemente voluta dall’Ue) a favore di questa o quella alleanza. Trattato che non venne mai rettificato dai paesi Nato, portando la situazione al limite con l’annessione all’alleanza atlantica dei paesi baltici e con l’ambizione di arrivare all’Ucraina dopo l’esclusione di Yanukovich.

Sono stati fatti i conti senza l’oste che non è assolutamente pazzo, ma porta avanti una strategia uguale e opposta a quella degli omologhi euro-americani. Una strategia lucida e, benché se ne dica, appoggiata da molti in Russia. Per quanto lo appoggeranno ora? Impossibile a dirsi, ma attenzione a pensare che se venisse estromesso ci sarà qualcuno più “malleabile”. Il rischio Zirinovski non è da sottovalutare.

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