Musica

Nesli a FQMagazine: “Ho troncato una relazione tossica. Emma? Il mio grande amore non corrisposto”

E' uscita una ristampa in digitale del suo disco d’esordio, Ego, uscito diciotto anni fa. Un atto d’amore verso la sua storia. Che comprende successi, fallimenti e rivincite

di Giovanni Ferrari

Con Nesli l’alternarsi tra passato e presente è continuo. Quasi necessario. Il 2022 sarà l’anno dell’arrivo di un suo nuovo album. Ma, oltre a lanciarne il primo singolo (Confessione – Story), l’artista ha deciso di guardarsi indietro. Lo ha fatto pubblicando una ristampa in digitale del suo disco d’esordio, Ego, uscito diciotto anni fa. Un atto d’amore verso la sua storia. Che comprende successi, fallimenti e rivincite.

Il tuo nuovo disco sarà un “movie album”. Cioè?
Mi piace la connessione tra musica e film, ma tante volte questo legame è poco tangibile. Sai, con il passare degli anni l’emotività cambia. Ti emozioni sempre meno. Alcuni film, invece, sono riusciti a toccarmi e ho dovuto farci i conti. Penso ad esempio a Judy o Joker.

Cosa ti ha toccato in particolare?
L’utilizzo della musica in alcuni film mi ha fatto aprire gli occhi. Serve per creare delle emozioni forti. Per mettere pathos, paura, ansia, gioia. La musica, nel cinema, accompagna fortemente l’emotività. Modula gli stati d’animo. E allora mi sono chiesto: perché la musica, quando non è in un contesto come quello cinematografico, non ha sempre questo potere? Perché ci limitiamo a strofa, ritornello, strofa, ritornello, ecc? E soprattutto: perché nella musica non posso portare quell’emotività del cinema?

Come hai risposto a queste domande?
Ho iniziato a pensare alle canzoni in questo modo, dando loro un’onda e un respiro che potessero creare delle emozioni diverse. Come fossero in un film. In molti brani del disco, ad esempio, c’è un corvo, presente anche nell’intro del primo singolo che ho pubblicato (Confessione – Story, ndr). Nei vari brani della tracklist lo sentirai in gabbia, capirai quando sarà riuscito a prendere il volo, riuscirai a percepire – se farai attenzione – il rumore delle sue ali sul metallo. Ho fatto tanti album in studio in questi anni ma ora ho sentito il bisogno di cambiare tutto. Non mi divertivo più. Non mi emozionavo più. Mi sembrava tutto preconfezionato.

Di quali cambiamenti stai parlando?
Ho fatto un cambiamento drastico nel mio team: ho lavorato con un gruppo per tantissimi anni e quando arriva il momento di decidere di cambiare è sempre difficilissimo. Poi ho eliminato una persona che è stata molto presente a livello sentimentale per tantissimi anni. Era una presenza tossica. Ho cambiato anche casa discografica.

Come vivi questo momento?
In fondo mi interessa cosa la gente pensa di me. So che è banale, ma faccio un lavoro per cui è difficile escludersi dal pensiero degli altri. Sono legato a ciò che la gente del mio ambiente pensa di me e della mia produzione. Magari alcuni, vedendo che cambio spesso etichetta o team, possono pensare che sono un tormentato.

Lo sei davvero?
Un po’ sì, così come possono esserlo le relazioni. Quando finiscono rapporti lavorativi, per me è come se finisse un amore, una magia. Siamo tutti persone. Anche se molti professionisti nel mondo della discografia sono sempre meno umani. L’industria discografica è veramente fredda. Se non hai un pezzo in classifica o che suona in radio, non ti risponde più nessuno al telefono. Se non vali qualcosa ai loro occhi, tu non esisti più, nemmeno umanamente. E questa cosa è orribile.

Hai sempre percepito questa cosa?
No. Non te ne accorgi sempre. Se qualcuno investe su di te, se il momento è caldo, tutti ti stanno appresso. Quando finisci un ciclo e non sei il numero uno, due o tre, non ti caga nessuno. Quanti cantanti o cantautori, nei momenti in cui non sono in hype, sono dimenticati da Dio.

Ci sono tematiche che sono emerse maggiormente nel momento di scrittura del disco?
La crescita, senza dubbio. E questo non lo avevo preventivato. Ho superato i quarant’anni. A quest’età vedi i tuoi che invecchiano, le cose che cambiano. Crescere è un processo fottutamente difficile e alienante nella società di oggi. È complicatissimo. Se non ti sei fatto una famiglia e, quindi, non hai uno scudo (anche emotivo), sei solo. Sei sempre un battitore libero. In una canzone che uscirà prossimamente dico: “A 40 anni da vivo sei vecchio, a 40 anni da morto sei giovane”.

Anche qui torni a parlare dell’industria discografica?
Certo. Si riferisce soprattutto al mio lavoro e a questa forma di solitudine.

In questa solitudine, qual è il ruolo delle altre persone?
Dipende se sei stato un bravo architetto della tua vita. Se negli anni hai costruito relazioni sane, allora gli altri possono giocare un ruolo fondamentale in quel tuo inevitabile processo di solitudine. Io, invece, ho fatto geometra e sono bravissimo a distruggere. I cani annusano la paura. Io annuso la solitudine delle persone sole.

Provi nostalgia di qualcosa?
No. E prima ne ero pregno. Ora no: provo tristezza. Ma non quella di chi si piange addosso. Una tristezza oggettiva, anche poetica. Ho imparato a dosarla, la nostalgia. Così come la malinconia.

Ci sono stati alcuni album usciti recentemente che ti hanno colpito?
Sono un fan delle belle melodie e del pianoforte. Per questo ho ascoltato con piacere il disco di Blanco. Poi, quello di Marra è un bellissimo disco. Mi sono piaciuti i progetti di Venerus e Motta. Ho apprezzato l’album di Kanye West, a differenza di quello di Drake.

Ci sono artisti per i quali ti piacerebbe scrivere una canzone?
In primis Emma. Lei è il mio grande amore non corrisposto. In tutti i sensi. Ho amato alla follia l’artista ma anche la persona. Ho già scritto per lei Dimentico Tutto e credo che sia venuta benissimo anche se lei è come se la rinnegasse: c’è stato un momento in cui ha anche smesso di suonarla. Mi piacerebbe scrivere per Biagio Antonacci (non sono un fan storico della sua discografia ma mi piace come è lui) e Tiziano Ferro (che, con la sua versione de La Fine, ha mostrato una sensibilità comune alla mia).

Un artista per cui non scriveresti mai?
Nessuno. Per un bel po’ di soldi scriverei anche per Tha Supreme. Non saprei in che lingua farlo, però (ride, ndr).

Il politicamente corretto è entrato anche nel mondo della musica?
Ci sono artisti che ogni giorno sentono il bisogno di dire la loro su grandi temi. Avranno un abbonamento a qualche servizio che ricorda le cose su cui “è conveniente” esporsi. Il politicamente corretto è il dito per nascondere che non c’è più educazione. E che non vale più la gentilezza.

Entreresti mai in politica?
Mi piacerebbe avere attività parallele ma non ne sono capace. Ero socio in uno studio di tatuaggi ma non è andata bene. L’idea di aprire un ristorante mi piace, ma lasciamo perdere… Se dovesse terminare la mia carriera da musicista sì, potrei anche fare il politico (ride, ndr). Ma solo perché paradossalmente sarebbe un lavoro “vicino” a quello del cantante.

In che senso?
Devi vendere contenuti e discorsi, convincere la gente, andare su un palco e parlare con dei “fan”. È identico (ride, ndr). Gli elettori sono fan, i comizi sono concerti, il messaggio delle canzoni è il messaggio del partito. L’unica differenza è che gli artisti cantano, mentre i politici parlano e basta. Quindi perché no? Anche se a volte ho delle idee un po’ spinte…

Il punto cardine dell’ipotetico programma elettorale di Nesli?
Investirei sulla scuola, per quanto io l’abbia sempre odiata. E poi sulla salute. Una volta che abbiamo tutti il diritto a essere istruiti e sani, allora punterei su altro: dai diritti civili alla legalizzazione della cannabis, ma anche la regolamentazione del concetto di prostituzione. I paesi più ricchi hanno un’attenzione particolare su questi temi.

A proposito di politica… Hai percepito vicinanza da parte delle istituzioni ai lavoratori del mondo dello spettacolo, dopo lo stop imposto loro dalla pandemia da Covid-19?
Siamo tutti una categoria dimenticata. Se penso a tutto ciò che è stato detto e fatto da molti miei colleghi per aiutare i lavoratori dello spettacolo, mi sembra che a livello ideologico sia stato tutto figo. Ma mi chiedo: queste cose sono servite? La verità è che lo Stato non può fottersene di gente che fino a ieri ha pagato le tasse. È un atteggiamento di una violenza incredibile, più violento di quella che chiamano “dittatura sanitaria”. E in tutto questo i tour continuano a spostarsi. Il povero Ultimo ha venduto i biglietti dei suoi concerti a ragazzi che al tempo dell’acquisto avevano quindici anni. Quando andranno a vederlo, ne avranno diciotto. Uno fa anche in tempo a cambiare i suoi gusti musicali, in questo lasso di tempo. Per forza di cose se parliamo degli artisti in questo momento storico dobbiamo parlare anche di una forma di depressione.

Cioè?
Un tempo non si vedeva. O meglio: la depressione con cui molti artisti devono fare i conti si è sempre vista, ma non gliene è mai importato nulla a nessuno. Non è così vero che la depressione è una bestia che non si vede. È una bestia che la società non vuole vedere. Chi ne soffre, la manifesta. È lì. Chiara. Manda segnali chiari. Ma la società non la vede perché non saprebbe che farsene. La nostra è una società educata a reagire solo al bello. “Metti like!”, “Condividi!”…

Come è considerato il fallimento nell’industria musicale?
Non è nemmeno considerato. Invece devi inserirlo tra le ipotesi. Nei meeting di lavoro non si cita nemmeno. Tanto, se poi arriva, è tutta responsabilità dell’artista e non più del team. Una scuola del fallimento non farebbe male. E soprattutto: cos’è il fallimento? È solo quello numerico? Ok, allora ti chiedo: perché si fanno le classifiche nella musica? La classifica è un elemento proprio di un torneo, di una gara. È ingiusto perché, per esserci una gara, dovrebbero esserci pari condizioni e delle regole chiare…

Nonostante tutto questo, però, sei tornato. E lo hai fatto innanzitutto ripubblicando nei digital store il tuo album d’esordio, Ego. Una scelta inusuale…
A volte per andare avanti bisogna fare un passo indietro. Non c’era nei digital store e non è più disponibile come copia fisica. Ho pensato che fosse giusto per me. Poi ho lanciato il primo singolo del nuovo album. E facendolo, ho iniziato un nuovo racconto. Sono tornato dopo tanto tempo alla direzione artistica del mio lavoro.

Faresti il giudice in un talent show?
Sì, a X Factor. Ho sempre voluto farlo anche se in realtà non mi sono mai proposto per il provino. Mi piace l’idea di portare avanti un lavoro artistico su altri. Questa è una cosa che in futuro voglio fare. Anche per questo ho aperto una mia società di produzione ed edizione.

E The Voice Senior?
Direi proprio di no.

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