A pochi mesi dall’esame di maturità, superato a pieni voti, parecchi giovani sono stati chiamati in cattedra. Una tra le poche novità positive nell’oceano dei guai prodotti dall’emergenza pandemica. Sono giovani supplenti chiamati da istituti tecnici e professionali, licei e scuole medie che, in tutta Italia, hanno selezionato questi ragazzi in base al curriculum, giocoforza scarno. Ai neodiplomati con ottimi voti, iscritti all’università, è stata data un’occasione di crescita, intellettuale e umana, per garantire la continuità della didattica, altrimenti compromessa.

Non sappiamo ancora se la ventata di entusiasmo e freschezza ricadrà come una manna benefica sui quasi-coetanei seduti dietro ai banchi, provati come tutti i ragazzi dai lockdown a singhiozzo, dalla didattica a distanza senza preparazione né programmazione alcuna, dalla toppa dell’insegnamento ibrido, un vero e proprio ossimoro così come è stato interpretato. Ma sono convinto che l’impatto positivo sarà enormemente superiore allo scetticismo e alle aspettative negative di qualche genitore.

Non è un fenomeno nuovo, se Giosuè Carducci ebbe la cattedra di Retorica nel Ginnasio di San Miniato al Tedesco quando aveva 21 anni. E spesso, negli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso, i supplenti venivano reclutati tra gli studenti universitari. Si tratta comunque di un’assoluta novità, in questo millennio, quando l’Italia vanta un corpo insegnante tra i più attempati del pianeta. Sono certo che la carica di empatia che nasce tra coetanei aiuterà i giovani docenti ad acquistare la fiducia dei loro allievi.

Gli studenti sono davvero coetanei: “Sì, anche più grandi a volte. Quest’anno sono al serale e sono molto più grandi di me, ci sono degli studenti di 44 anni”, come racconta un ventenne calabrese al secondo anno di supplenza presso un istituto tecnico emiliano, in una intervista pubblicata da orizzontescuola.it. E aggiunge: “L’anno scorso avevo studenti più grandi di me. Pensavo di avere paura, però poi no. Gli alunni sono comprensivi e rispettosi”. Rispetto. Parola dimenticata ma fondamentale nel rapporto educativo.

Leggo queste storie con emozione e nostalgia. Si tratta di un ritorno al futuro. Per cinque lunghi anni da studente di Ingegneria, una scuola che richiede parecchia applicazione, ho insegnato per più mesi all’anno come supplente nella scuola pubblica. Ho cambiato spesso classe e perfino materia, dalla Matematica alle Applicazioni Tecniche e alla Fisica. Ho dovuto studiare e ristudiare molto per guadagnare il rispetto dei ragazzi, qualche volta turbolenti, perché i presidi mi affidavano spesso classi dove insegnare era più impegnativo, anche sotto l’aspetto disciplinare. Se quella esperienza mi ha permesso di andare in pensione con 52 anni di contributi, mi aiutò allora a superare una difficile congiuntura familiare. Se ricco è colui che spende un euro meno di quel che guadagna, come diceva mia madre da poco vedova, mi sentivo un ricco studente. E potevo perfino permettermi una Dyane 4 rossa; tutti gli amati album di Simon & Garfunkel, Dylan e Cohen; il campeggio estivo; il viaggio in America. Sono stato un baby-boomer fortunato.

Ancora oggi, a Genova, mi capita d’incontrare per strada un quasi-coetaneo che non riconosco ma si ricorda di me, il supplente con il papillon. Vi assicuro che il vezzo del papillon non aiuta a ottenere il rispetto di una classe scolastica in una periferia turbolenta. Me se ce la fai, quel rispetto non svanirà mai; e la mia riconoscenza varrebbe bene quell’abbraccio che la pandemia oggi ci vieta.

In Italia, il rispetto per gli insegnanti – giovanissimi, diversamente giovani o anziani – è modesto, soprattutto da parte della società e della politica. La crisi della scuola italiana dovrebbe ricominciare con uno sguardo alla raccomandazione dell’Unesco sullo status degli insegnanti (1994). Ne sono davvero rispettati i parametri di riferimento? Riguardano i diritti e le responsabilità degli insegnanti, gli standard per la loro preparazione iniziale, le condizioni di istruzione superiore, reclutamento, impiego e insegnamento e apprendimento. Lo chiedo per i nipoti.

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