La governance del Servizio Idrico Integrato (S.I.I.) prevede ormai, da circa dieci anni, l’attribuzione di competenze in materia di regolazione delle tariffe all’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (Arera).

Il trasferimento delle competenze in materia è avvenuto in un momento di particolare attenzione dell’opinione pubblica al S.I.I., coincidente con la fase immediatamente successiva allo svolgimento dei referendum popolari del 2011, relativi all’affidamento dei servizi pubblici locali e all’abolizione dell’adeguata remunerazione del capitale investito dalle voci di costo della tariffa.

Il metodo di determinazione della tariffa, a partire dal 2012, ha potuto registrare un progressivo aumento del carico tariffario sulle utenze, che in modo più o meno omogeneo ha investito la gran parte del Paese. A fronte di tali aumenti tariffari, la quota di investimenti dei privati che questa tariffazione doveva garantire per risolvere i problemi infrastrutturali del servizio idrico resta assente, in particolare per ciò che riguarda la problematica afferente alle perdite di rete, nonché ai segmenti relativi al trattamento dei reflui.

Non a caso l’Italia è assoggettata a quattro procedimenti di infrazione dall’Unione Europea per il mancato trattamento delle acque reflue urbane. A queste procedure se n’è aggiunta di recente una quinta in fase di pre-contenzioso, relativa al monitoraggio della qualità delle acque, alla designazione delle zone vulnerabili ai nitrati, che sono anche causa, in determinate condizioni, di catastrofici impatti ambientali su fiumi, laghi e acque costiere in quanto favoriscono, l’eutrofizzazione, fino alla cancellazione della vita in quell’habitat con ecatombe dei pesci e delle specie vegetali esistenti.

A partire dal 2012, fino ai Patti per il Sud, con le Leggi di Bilancio 2019 e 2020 sono state assegnate ingenti risorse, nell’ordine di 3 miliardi di euro, per finanziarie interventi per abbattere le cause delle procedure d’infrazione. Per cui ancora una volta gli unici investimenti li fanno gli italiani e lo Stato, mentre i privati raccolgono i profitti.

E oggi, con il Piano Nazionale per la Ripresa e Resilienza (PNRR), si prevedono 600 milioni di euro da assegnare a interventi nel settore fognario-depurativo e complessivamente 4,68 miliardi sul sistema idrico.

Ciò che manca all’appello sono le risorse che le aziende private o miste che gestiscono l’acqua hanno speso, o sarebbe meglio dire, non hanno speso, in piani di investimenti che la tariffazione dovrebbe garantire, anche perché l’unica remunerazione possibile per i privati sarebbe sugli investimenti o per le aziende quotate in borsa, sarebbero gli interessi sulle azioni.

Leggere questi dati non è possibile anche perché il procedimento di determinazione delle componenti di costo è a dir poco complesso e in diversi casi intellegibile dalla cittadinanza. Il livello di trasparenza e di accesso alle informazioni rischia di essere totalmente violato.

È per questo che vanno approfondite le metodologie tariffarie adottate con un’indagine conoscitiva parlamentare, anche per la babele di flessibilità e discrezionalità che gli enti locali utilizzano assecondando i gestori privati e misti. Il Consiglio di Stato, lo riconosce nella sentenza n. 5309 del 2021, chiedendo al gestore del servizio la pianificazione base approvata quale presupposto da assumere a giustificazione delle diverse formule tariffarie, tenuto conto dell’esigenza di verificare la congruità dei costi della gestione rispetto agli obiettivi pianificati anche “in relazione agli investimenti programmati” (art. 149 d. lgs. 152/06).

In questo 2022 il tema della regolazione delle tariffe delle bollette non può investire solo quelle energetiche, ma deve toccare con forza quelle di un servizio ancora più essenziale che è quello dell’acqua. Per questo il M5S chiede da mesi al Presidente della Commissione Ambiente e a tutte le altre forze politiche di avviare un’indagine conoscitiva parlamentare che faccia finalmente chiarezza e sia stimolo per portare soluzioni nel Paese.

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