di Riccardo Cristiano*

Alla fine del 2019 uno stipendio medio-basso in Libano equivaleva a 400 dollari statunitensi. Oggi lo stesso identico stipendio vale circa 22 dollari. E’ l’effetto di una vertiginosa perdita di valore della lira libanese, che dal 1991 era legata al tasso di cambio di 1500 lire, mentre oggi ne occorrono 33mila per acquistare un biglietto verde. Un piano di salvataggio dei libanesi con l’ausilio del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale comporterebbe scelte importanti e negoziati, ma il Libano sembra esistere solo sulla carta.

Dopo aver sprecato circa un anno in giochetti di palazzo per riuscire a formare il nuovo governo, guidato dal miliardario Mikati, il Paese è piombato di nuovo nella paralisi perché un giudice, Tareq Bitar, è determinato a indagare sulla più grave esplosione non atomica dei tempi recenti, che ha cancellato il porto di Beirut e reso inagibili interi quartieri. Tra gli ex ministri convocati vi sono figure vicine al partito di Dio, Hezbollah, e il suo alleato, Amal, guidato dal presidente della Camera Nabih Berri, che non fanno partecipare i loro ministri alle riunioni di gabinetto avendo vista rigettata la loro richiesta di sostituzione del magistrato, accusato di politicizzare l’inchiesta. Gli organi competenti della magistratura hanno respinto numerose istanze in tal senso, e così si è arrivati alla paralisi governativa. Della quale non si intravede la fine.

Il Paese è sempre più a corto di tutto, spariscono i farmaci di base, la stessa dialisi è a rischio per le continue interruzioni di corrente elettrica in tutto il Paese. A rendere socialmente esplosiva la situazione c’è poi la presenza di almeno un milione e mezzo di profughi siriani, arrivati nel Paese quando divampava la guerra oltreconfine, e per il cui ritorno in Siria non sussistono le condizioni minime di sicurezza.

Ad aggravare il quadro della “polveriera Libano” c’è l’imminenza delle elezioni politiche, attualmente previste per maggio, sebbene nessuno possa ancora dire se si terranno realmente, anche perché sulla legge elettorale si continua a discutere. Recentemente sono state approvate delle modifiche che vengono però rifiutate dal partito fondato dal Presidente della Repubblica, Michel Aoun. Riguardano il voto dei libanesi all’estero, e la grande novità: i libanesi non sarebbero più costretti a tornare nel loro villaggio di origine per votare, ma voterebbero dove risiedono. Tantissimi dunque voterebbero a Beirut, non in piccoli centri dove molti commentatori libanesi sostengono che l’elettore è più facilmente controllabile.

Nel frattempo l’unica attività che fiorisce è quella dei traffici illeciti, tanto che molti parlano del Libano come di un narco-stato sulle coste del Mediterraneo. I traffici sono di diversa natura e ovviamente coinvolgono la vicina Siria, vista la porosità del confine. I traffici e i guadagni illeciti in valuta pregiata hanno un doppio effetto di arricchimento: ad esempio, una visita medica pagata in lire libanesi costa l’equivalente di pochi dollari. Ma è il traffico di captagon che sta emergendo come la novità più impressionante.

All’inizio, quando emerse questa nuova sostanza stupefacente definita la “droga dei terroristi”, la sua diffusione soprattutto verso il mercato europeo venne attribuita in particolare all’Isis. Successivamente, nel permanere di crisi, sanzioni e paralisi del negoziato politico sulle riforme politico-costituzionali, a controllarne la produzione sarebbero intervenuti soggetti legati allo Stato. The New York Times ha indicato espressamente la Quarta Divisione Corazzata, corpo d’élite guidato da Maher al- Assad, fratello del presidente Bashar al-Assad. The Economist ha citato gli studi del Centre for Operational Analysis and Research (COAR) di Cipro, che stima il valore di mercato del captagon sequestrato nell’ultimo anno intorno ai 3,4 miliardi di dollari. Uno studio del COAR aiuta a coglierne l’importanza comparandolo con i 122 milioni di dollari che frutta ogni anno l’export legale di olio d’oliva.

Questo traffico coinvolge il rivierasco Libano ed ha riguardato anche Grecia e Italia, Paesi nei quali sono stati sequestrati ingenti quantitativi di captagon. Solo nel 2021 sono state scoperte e sequestrate 250 milioni di pillole. Sono molto noti i sequestri di captagon proveniente dal Libano nei porti sauditi: ma la rete non è euro-araba, visto che la mappa dei sequestri comprende anche scali asiatici, ad esempio la Malesia.

Questa economia parallela potrebbe consentire di prolungare il braccio di ferro politico che paralizza il governo libanese, nonostante la popolazione di ogni comunità vorrebbe un ritorno del Libano alle sue attività economiche e commerciali usuali. Del captagon si parla da molti anni, ma oggi il rischio è quello di un disfacimento del Libano quale entità sovrana. E l’enormità della crisi sociale produce ogni giorno blocchi stradali, proteste, incendi, scontri.

* Vaticanista di RESET, rivista per il dialogo

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