Il governo non sente ragioni sulla scuola: dei presidi, dei sindacati, delle Regioni. Alla vigilia della riapertura dopo le vacanze di Natale gli oltre 50mila istituti di tutta Italia ricominceranno a fare lezione come se nulla, tra il 22 dicembre ed oggi, fosse accaduto: cioè come se Omicron non avesse provocato un’impennata di contagi con moltiplicatore mai visto e non ci fossero già le proiezioni a dire che tra due o tre settimane il rischio è di una Dad di fatto per via di alunni positivi o in quarantena, prof positivi o in quarantena e in più con l’organizzazione in apnea per le assenze dei docenti non vaccinati, finora sospesi. Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia quasi scongiura l’esecutivo di provare ad ascoltare i governatori: “Se le condizioni per aprire rimangono queste – dice a Repubblicanon siamo in grado di reggere“. Se non si rinvia, aggiunge, “il risultato sarà che da lunedì avremo un sacco di classi in Dad, orari ridotti, ci trascineremo per una settimana e poi probabilmente si dovrà intervenire”. “Un rinvio di 15 giorni non vuol dire perdere il campionato”, prosegue. Ecco perché il governatore ha deciso di rivolgere “un ultimo appello al premier”. Da giorni Zaia chiede che il Cts si pronunci sulla riapertura delle scuole in questa situazione di evoluzione della pandemia, cosa che può accadere solo se lo chiede il governo. “Evitiamo di andare in ordine sparso, ma la comunità scientifica deve pronunciarsi” insiste oggi.

Una posizione quella di Zaia condivisa anche dal collega del centrodestra Roberto Occhiuto, presidente della Calabria: “In Calabria stiamo vaccinando nelle scuole”, ha detto al Tg2. “Siamo la prima regione in Italia per incremento delle vaccinazioni rispetto ai target del generale Figliuolo grazie al senso di responsabilità delle famiglie e dei ragazzi. Forse sarebbe stato opportuno differire di 15 giorni la riapertura delle scuole. Non è stato così, ma non è tempo di polemiche”.

Da quell’orecchio, però, non ci sente il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi che ancora nella serata di sabato, a SkyTg24, ha difeso la scelta di riaprire, peraltro sostenuto da tutto il governo (Brunetta al Corriere rivendica che “nessun Paese europeo ha deciso di chiudere le scuole”. “L’aumento dei contagi non è avvenuto nelle scuole ma quando gli istituti erano chiusi” dice il ministro Bianchi facendo la cronaca delle ultime due settimane che però è difficile collegare (o scollegare) alle scuole: dipende dall’evoluzione dei contagi che con Omicron ha trovato un accelerante in tutti i settori della società che tutti hanno imparato a conoscere.

Per Bianchi, comunque, “con il provvedimento approvato il 5 gennaio diamo la possibilità per una scuola in presenza, in una situazione controllata e regolata”, cioè il ricorso alla quarantena con situazioni diversificate per le elementari e per le medie e le superiori. Per il ministro “insistere sulla presenza è una misura sanitaria importante che permette ai ragazzi di essere in una situazione controllata”. Intanto l’ennesimo incontro di sabato con i sindacati non ha sciolto alcuna questione tra quelle sollevate dalle organizzazioni dei lavoratori che nei giorni scorsi avevano chiesto di far slittare il ritorno in classe di un paio di settimane in modo da rafforzare i dispositivi di sicurezza nelle scuole, magari a partire dalla fornitura di Ffp2 che al momento è a zero.

Tutte cose che bypassa il leader di Italia Viva Matteo Renzi. “Io sostengo al 100% la linea di Draghi sulle riaperture delle scuole – dice l’ex premier Matteo Renzi ad Avvenire – Quando c’è qualche problema la prima cosa che in tanti propongono di chiudere è la scuola. Ma è un errore clamoroso”. Renzi parla di una “cultura nichilista per cui i nostri figli possono andare in pizzeria o a sciare, giustamente, ma non a scuola. Io dico di più: teniamo aperte le scuole, contro la povertà educativa, ma anche come hub per mandare team medici a vaccinare dentro le scuole. Quando ero ragazzo, a scuola facevamo la visita medica. Sa quanti ragazzi, magari più poveri, non possono permettersi visite accurate? Investiamo in educazione e in sanità: non consideriamo la scuola come luogo per untori, ma al contrario trasformiamola in un presidio di salute e di libertà”. Nel frattempo però l’Iss chiede misure immediate per invertire la tendenza perché altrimenti gli ospedali si ritroveranno di nuovo in affanno (e in alcune zone d’Italia già lo sono). Per non parlare di ciò che è stato fatto per la sicurezza sanitaria a scuola nell’ultimo anno (poco o nulla), nemmeno con i rinforzi promessi dalla struttura commissariale per il tracciamento dei casi a scuola.

In questo contesto compie una curva anche l’opinione del consulente del commissario all’emergenza Francesco Paolo Figliuolo, cioè l’ex direttore dell’Ema Guido Rasi. Un paio di giorni fa, in tv, aveva detto “a titolo personale” che “due settimane di didattica a distanza sarebbero importanti” aggiungendo: “Immaginiamo tra una settimana cosa vedremo. Se non facciamo due settimane adesso dovremo fare una cosa frammentata per i prossimi tre mesi”. Oggi invece alla Stampa Rasi sostiene che “il contagio va veloce con crescenti ricoveri e morti, facendo apparire ogni nuova misura superata, ma nessuno ha la ricetta giusta”. “Il governo ha preso una decisione che mette al primo posto l’istruzione – aggiunge – Omicron si ferma solo chiudendo tutto, ma non è fattibile. Il tentativo del governo dunque è di mitigare il contagio per tenere aperte scuole e attività economiche”. Per non limitare l’attività, anche scolastica, per Rasi “l’unica è accelerare le terze dosi, che sono in aumento così come le prime, diffondere l’uso delle Ffp2 al chiuso e aumentare le distanze sui trasporti“.

Vale la pena ricordare di nuovo che le Ffp2 non sono obbligatorie in classe e che il governo fornisce agli istituti mascherine chirurgiche, peraltro quelle “a mutanda”, contestatissime da insegnanti e studenti. Mentre dall’altro lato non sfiora alcuna agenda pubblica il tema di abbassare la capienza sui mezzi di trasporto. Anzi, con i contagi in aumento è notizia di queste ore che sia le aziende di trasporto locale sia di quelle del settore su rotaia hanno intenzione di tagliare treni e corse per mancanza di addetti. La conseguenza è che i passeggeri si concentreranno sulle corse rimanenti.

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