Allerte di resilienza che si moltiplicano, le file di ambulanze fuori dai pronto soccorso in Campania e Sicilia, dove sono tornate anche le tende da campo come nei primi mesi della pandemia. E ancora il piano della Puglia, ad oggi in zona bianca, per riconvertire alcuni reparti di 6 ospedali destinandoli ai pazienti Covid nonché l’aumento delle richieste d’intervento del 118 in Lombardia per problemi respiratori. Ma nessuna Regione italiana è in zona arancione né ci finirà da lunedì. Le zone rosse? Lontanissime, apparentemente. In realtà, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, senza un’inversione di tendenza immediata, nel prossimo mese 8 Regioni hanno oltre il 50% di probabilità di avere valori da lockdown. Il sistema a colori – che con i nuovi decreti ha azzerato le differenze per la vita sociale dei vaccinati dal bianco all’arancione – nasceva proprio per intercettare il rischio di un tilt del sistema sanitario, proporzionando gli interventi sulla quotidianità all’occupazione dei posti letto. Al momento sono 14.930 i pazienti in area medica e 1.557 in terapia intensiva, pari al 23% e al 16% di occupazione del totale dei posti letto disponibili in Italia. Lo scorso sabato erano rispettivamente 11.265 e 1.297, due settimane fa 8.892 e 1.071. In quattordici giorni, quindi, il saldo ingressi-uscite ha fatto registrare +6.038 ricoverati con sintomi e +486 assistiti in rianimazione. Numeri destinati a crescere sulla spinta delle centinaia di migliaia di nuovi contagiati.

Lo scollamento tra realtà e fascia di rischio – Però le soglie tarate in estate per volontà delle Regioni sembrano ormai scollate dalla realtà raccontata da medici e infermieri in prima linea. Una fotografia suffragata dalla corsa a creare nuovi posti Covid da parte delle stesse amministrazioni regionali finendo per influire sulle attività di routine, in diverse regioni – come Campania, Veneto e Lombardia – già rallentate da settimane per reggere l’ondata di piena innescata dalla variante Omicron che a causa delle centinaia di migliaia di contagi già provocati, pur portando percentualmente meno contagiati a dover far ricorso alle cure sanitarie, sta provocando di nuovo una crescita dei ricoveri. Con l’ultimo monitoraggio dell’Iss che segnala 8 Regioni a rischio valori da zona rossa nei prossimi 30 giorni. E intanto il governo, da settimane, ignora i suggerimenti della Cabina di regia che ha consigliato in numerose occasioni di valutare la necessità di cambiare la fascia di rischio di alcune aree del Paese anche se non tutti i parametri erano ancora sopra soglia. “In molte zone d’Italia gli ospedali sono già in sofferenza e gli Ordini lanciano l’allarme: succede a Napoli, Palermo, Firenze, in Liguria, in Lombardia – spiegava venerdì il presidente nazionale dell’Ordine dei medici Filippo Anelli – Molti reparti si stanno trasformando in reparti Covid, con conseguente trasferimento del personale. Nelle terapie intensive, il 16% dei posti è occupato da pazienti Covid, limitando la possibilità di usufruirne ai pazienti delle urgenze (infarti, ictus, interventi chirurgici urgenti, complicazioni del parto, incidenti stradali). Tutto questo ha come conseguenza l’allungamento delle liste d’attesa, con possibili aggravamenti dei quadri clinici. Ribadiamo, ancora una volta, che il Covid non ha mandato in pensione le altre malattie”. E ha sottolineato come il sistema a colori delle Regioni “non rispecchia più la realtà, e va aggiornato” coinvolgendo tra i parametri la sanità territoriale.

I criteri per le fasce di rischio – Le soglie per valutare il rischio che le strutture sanitarie vadano in sofferenza sono state decise lo scorso 22 luglio. Parametri meno stringenti rispetto ai precedenti e anche rispetto a quanto circolava prima dell’approvazione del decreto: la soglia per il passaggio in zona gialla è stata fissata al 10% di occupazione delle terapie intensive e contemporaneamente al 15% per l’area medica dove vengono curati i pazienti non critici. Terapie intensive al 20% e aree mediche al 30% per passare in arancione e, rispettivamente, al 30 e al 40% per entrare in zona rossa. Il governo inizialmente aveva proposto una soglia al 5% di occupazione dei reparti di rianimazione per passare in zona gialla, mentre le Regioni volevano fissare il limite al 15 per cento. Quindi il compromesso. L’innalzamento delle soglie – chiesto a gran voce delle Regioni – era stato deciso sul presupposto che i vaccini proteggono dalla malattia grave e quindi la sola incidenza dei casi superiore a 250 casi ogni 100mila abitanti (con la quale si finiva direttamente in zona rossa) né i precedenti tassi di occupazione avrebbero fotografato la reale situazione degli ospedali. Ma a giudicare da quanto sta accadendo in queste settimane, anche l’attuale composizione non definisce il reale impatto sulle strutture sanitarie.

Qual è la situazione – Da lunedì, alle dieci Regioni già in zona gialla si aggiungeranno Abruzzo, Emilia Romagna, Toscana e Valle d’Aosta. Il cambio di colore non determinerà nessun cambiamento di regole: l’obbligo di mascherina all’aperto già è in vigore in tutto il Paese. Inoltre, da lunedì scatta l’estensione del Super green pass che introduce in Italia un’ulteriore stretta per i non vaccinati. Insomma, da un punto di vista pratico non cambierà nulla e molto poco cambiava già prima. Da metà novembre però diverse Regioni – tra cui Liguria e, più volte, Lombardia ed Emilia Romagna – hanno comunicato aumenti di posti letto a disposizione di pazienti Covid in area medica, di fatto sottraendoli alle cure non legate al virus. Un sistema – permesso dalle regole sui reparti e non sulle terapie intensive – che allontana i tassi di riempimento scongiurando il “downgrade”. Nonostante lo scopo delle misure contenitive sia sempre stato quello di proteggere le attività ospedaliere di routine, a due anni di distanza – anche se le zone sono ormai sganciate dalle restrizioni, tranne quella rossa – continuano a essere sottratti posti letto a reparti non Covid e si rallentano visite e interventi programmati.

L’allerta in Campania (bianca) e Sicilia (gialla) – Così con il nuovo sistema resterà addirittura in bianco la Campania, dove i criteri indicano una situazione di sostanziale tranquillità per il sistema sanitario. Eppure nell’ordinanza con cui ha disposto la chiusura delle scuole, il presidente Vincenzo De Luca parla di un sistema “già fortemente sotto pressione, come provato dalla disposta sospensione di plurime attività di ricovero ed ambulatoriali”. Fuori dall’ospedale Cotugno di Napoli sono ricomparse le file di ambulanze e giovedì il presidente dell’Ordine dei medici di Napoli ha chiesto un intervento “drastico” per evitare che si arrivi alla necessità di applicare il “codice nero”, ovvero scegliere chi curare e chi no. Situazione non distante da quella della Sicilia, in zona gialla, dove gli ospedali di Palermo sono già andati in tilt negli scorsi giorni. Sono tre le tensostrutture montate all’esterno delle strutture Civico, Cervello e Buccheri La Fera. Sono già stati attivati 250 posti Covid al Cervello riconvertendo Cardiologia, Ostetricia e Ginecologia, mentre altri 30 posti saranno ricavati all’ospedale Civico in Medicina. Interventi che ovviamente rallentano le attività non-Covid. Così alla fine a chiedere la zona rossa sono proprio i medici: “Serve un lockdown di 15-20 giorni”, è stato l’appello di Vincenzo Provenzano, direttore medico del Covid Hospital. Ad aggravare la situazione anche la crescita dei contagi tra medici e infermieri: “Con una simile velocità di contagio mi chiedo chi rimarrà a curare i pazienti in corsia? Chiudiamo tutto, per almeno due settimane, per scongiurare una catastrofe”, ha aggiunto Provenzano. Del resto, come spiegato a metà dicembre da Ilfattoquotidiano.it, i dati di Bolzano e Friuli Venezia Giulia avevano già chiarito come la zona gialla non serva a piegare le curve di contagi e ricoveri.

Le limitazioni territoriali e il rallentamento – Mentre il governo latita, avendo scelto in maniera chiara di usare vaccinazione e Super Green Pass come unici strumenti per la gestione della curve epidemiche, alle Regioni restano ampi poteri di introdurre limitazioni territoriali più stringenti. Sono state applicate, ad esempio, in diversi casi in Sicilia da Nello Musumeci, che ha fatto scattare la zona arancione in 42 Comuni, compresi Enna, Siracusa e Caltanissetta. Anche Roberto Occhiuto a dicembre si era mosso nella stessa maniera in Calabria. Nessun provvedimento finora è stato preso in grandi città, come ad esempio Milano dove l’incidenza dei casi nell’ultima settimana è schizzata. Già durante le festività, tuttavia, la Regione Lombardia ha scritto agli ospedali per rimodulare le operazioni non urgenti così da “sgravare i reparti e facilitare i ricoveri indifferibili che giungono dai pronto soccorso”. In questo quadro, da settimane, la Cabina di regia istituita al ministero della Salute suggerisce di “forzare la mano” nelle situazioni al limite, quando le Regioni sono in bilico. Era accaduto a inizio dicembre con Trentino e Alto Adige, che per una manciata di ricoveri si erano salvate dalla zona gialla.

Gli allarmi (ignorati) di Cabina di regia e Iss – Ed è successo nuovamente lo scorso 24 dicembre. Nel verbale della riunione, pubblicato negli scorsi giorni, si legge la raccomandazione di “valutare l’opportunità di adottare ulteriori e adeguate misure per contrastare l’aumento della circolazione virale” anche nelle Regioni che avevano solo due dei tre parametri oltre soglia e si sottolineava come il “trend epidemiologico sta comportando in molte Regioni e Province autonome la necessità di dedicare posti letto aggiuntivi per la cura di pazienti affetti dalla malattia Covid-19, con contestuale contrazione di altri servizi assistenziali”. L’ultimo allarme è stato lanciato dall’Istituto Superiore di Sanità nel monitoraggio settimanale diffuso il 7 gennaio, con una sorta di avviso al governo: “L’attuale scenario di crescita dell’utilizzo dei servizi ospedalieri osservato nelle ultime settimane, associato alle progressive evidenze che arrivano da altri Paesi Europei, rende necessario invertire rapidamente la tendenza per evitare condizioni di sovraccarico dei servizi sanitari, già oggi fortemente impegnati”. L’epidemia, infatti, sottolinea l’Iss, “si trova in una fase delicata e, in assenza di misure di mitigazione significative, un ulteriore rapido aumento nel numero di casi e nelle ospedalizzazioni nelle prossime settimane è altamente probabile”. Così, con Omicron verso la prevalenza e tutto aperto, nel prossimo mese la situazione rischia di peggiorare fino a spingere otto regioni in zona rossa. Significherebbe oltre il 30% dei posti letto nei reparti e il 40% in terapia intensiva occupati da pazienti Covid. Con tutto ciò che ne consegue per le cure di routine, senza che nessuno abbia tirato prima il freno di emergenza.

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