Nicola Savino sta vivendo un periodo intenso. Reduce dal Covid («ma credo di averlo già fatto nel 2020, prima di Sanremo»), sta per cominciare una nuova avventura televisiva: martedì 4 gennaio debutta su Italia1 con Back to School, in cui 25 vip – da Nicola Ventola a Vladimir Luxuria, da Clementino a Giulia Salemi – dovranno rifare l’esame di quinta elementare. «Sarò una sorta di bidello che diventa anello di congiunzione tra i celebri ripetenti e i maestrini», spiega a FqMagazine. E dopo il debutto, un gran finale e un ritorno tutto da valutare. Il 5 gennaio su RaiPlay sarà infatti disponibile l’ultima puntata de Il giovane Old, un dopolavoro artistico in cui si esibiscono musicisti e talent comici. Quanto a Le Iene, non c’è nulla di certo.

Lei una volta disse: «Ho l’ossessione per la didascalia, per l’arrivare a tutti». Dove l’ha coltivata questa ossessione?
Nella scuola della radio. Sono i fondamentali che ho imparato nei primi mesi a Radio Deejay, dove ce lo impartivano come dogma. Ho iniziato come regista ed è stato come fare scienze della comunicazione ma venendo pagato 1 milione al mese.

Cosa significa arrivare a tutti?
Significa non dare mai le cose per scontato. Alcuni colleghi mi dileggiano bonariamente per questa mia attitudine ma io ci credo. Quando fai tv, entri nelle case di tutti e devi sapere parlare a tutti: bisogna sempre provare ad alzare l’asticella ma evitando l’autoreferenzialità.

Parliamo di autoreferenzialità: ce n’è più in tv, in radio o sui social?
È una bella lotta. La nostra radio è autoreferenziale ma ha un sapore deciso, un linguaggio che ti fa entrare e sentir parte di una famiglia. È meglio quel tipo di autoreferenzialità rispetto a quella dei salotti della politica e di certi talk.

Quanto ad autoreferenzialità, anche molti suoi colleghi non scherzano…
Ma basta tenere a mente ciò che dice Antonio Ricci: alla fine siamo tutti colleghi del Gabibbo. E poi forse ha ragione chi si autoincensa: la sottrazione ha rotto.

Giocare di sottrazione è un limite o una virtù?
È un limite ma se sei bravo la trasformi in virtù. Come ha saputo fare la buonanima di Frizzi e come fa Carlo Conti. Il telespettatore non è scemo, ti capisce sempre.

E per lei cos’è?
Forse è stato un limite. Ma è una cosa su cui sto lavorando da tempo. Per indole mostro poco i muscoli ma ho capito che dovrei avere il coraggio di dirmi più spesso che sono bravo. Ci sono voluti dieci anni di analisi per capire che aveva ragione il mio manager Franchino Tuzio (scomparso nel 2017, ndr).

Cosa le diceva?
«Nicola, ricordati che a forza di stare in punta di piedi, le cosce ti fanno un male della madonna». Con Le Iene prima e con Il giovane Old poi, ho imparato ad appoggiare tutto il piede e mi sono tolto delle belle soddisfazioni.

Mercoledì 5 su RaiPlay va in onda l’ultima puntata de Il giovane Old. Com’è nata l’idea?
Dopo Sanremo 2020. Il Dopo Festival era andato bene e la direttrice Elena Capparelli voleva riprendere quell’esperienza. Il Covid ha bloccato tutto due volte, poi pochi mesi fa c’è stato una sorta di allineamento dei pianeti e siamo riusciti a girare.

La formula è consolidata: musica live, comici, sano cazzeggio.
Ho bisogno di tanti ingredienti per cucinare bene, mi piace mescolare i sapori. Poter surfare tra tante cose diverse mi permette di dare ritmo, spacchettare, alternare i registri. Il mio movente era chiaro: realizzare dei numeri musicali speciali, degli unicum che non trovi altrove. Credo che ascoltare Ghemon che canta Pino Daniele e vedere Brunori Sas e Vasco Brondi assieme traduca plasticamente il concetto di “contenuto esclusivo”.

I cantanti si sono fidati di lei?
Sì, così i discografici. Sono venuti a scatola chiusa perché sanno che non rifilo delle sole. Credo di avere accumulato un credito di stima grazie alla radio e grazie al mio carattere.

I comici come li ha scelti?
Quelli esordienti in un colpo solo, una sera in un laboratorio. Ho scelto quelli che mi somigliavano di più. Non è vero che non si trovano giovani leve e bravi esordienti: qualcosa si muove, basta scovarli. Poi ci sono volti più conosciuti come Herbert Ballerina, che considero geniale, e il sodale Dj Angelo: lui è strepitoso, mi spiace che non venga capito fino in fondo dal grande pubblico perché c’è sempre doppia lettura nei suoi pezzi.

Ci saranno delle nuove puntate de Il giovane Old?
È prevista una seconda tranche, ma non so ancora quando.

Poi passerà sulla generalista?
Non so e non penso.

C’entra in questa scelta il fatto che la musica in tv, fatte le dovute eccezioni, non funziona?
No, anzi, quello è un vantaggio per Il Giovane Old: sulla generalista la musica di genere fa fatica, su piattaforme come RaiPlay no. La gente vuole disimpegno, preferisce gli eventi come Sanremo o le rassegne estive in cui trovi di tutto.

Funzionava, invece, il Festivalbar di cui lei è stato autore dal 1996 al 2004, scrivendo i testi per i conduttori tra cui Amadeus, Fiorello, la Ventura e la Marcuzzi.
Fu proprio Amadeus a chiamarmi e sono stati anni meravigliosi. Facevamo una cosa mitica e non ce ne rendevamo conto, scrivevamo i sentimenti di una generazione e non lo sapevamo. Come quando al quarto piano di Radio Deejay entrai per sbaglio in una stanza dove gli 883 stavano registrando le chitarre di Nord sud ovest est: non sapevo che quello sarebbe diventato un brano iconico.

Il momento più surreale che visse al Festivalbar?
Una serata indimenticabile a Napoli, nel ’97. A Piazza del Plebiscito c’erano 250 mila persone, non c’era più spazio per far entrare un ago. Vedo arrivare da lontano Bassolino, che all’epoca era sindaco, mi viene incontro con la sigaretta in bocca e mi prende sottobraccio: «Facitm nu piacere, cominciate». Lo disse a me, che avevo 29 anni ed ero solo l’autore dei presentatori. Per fortuna andò tutto bene.

Il momento cult di quegli anni?
Le serate in discoteca con Fiorello, in piena epoca post Karaoke: faceva uno spettacolo di un’ora poi si scatenava l’inferno. Ogni volta dovevamo farci scortare delle macchine della polizia per andarcene.

Trent’anni dopo la prima puntata del Karaoke, che debuttò nel ’92, Fiorello gira l’Italia con un nuovo show teatrale, lei sta per esordire con Back to school. Cosa c’entra con i bambini?
Il “bambinese” è una lingua che parlo, è una di quelle cose che, se lo vuoi, non scordi mai. Ho un buon canale di comunicazione con i bambini e sono orgoglioso di aver realizzato un programma non sguaiato e ambizioso. Oserei dire pulito.

Che significa pulito?
Significa riuscire ad essere divertente senza scadere nel trash. Si sorride per due ore, piacerà a tutta la famiglia.

Sarà più un conduttore o un narratore?
Un conduttore ma anche un po’ il bidello che diventa anello di congiunzione tra i celebri ripetenti e i maestrini. Confesso di essermi divertito molto ma, essendo un diesel, ci ho messo una puntata a entrare nelle dinamiche del programma.

Qualche mese fa si diffuse la notizia che Back to school era stato cancellato. Cosa c’era di vero?
Nulla, a parte la voglia di sparala grossa. Perché Mediaset avrebbe dovuto investire su un programma, registrarlo e poi cestinarlo? Semplicemente hanno scelto di mandarlo in onda in un periodo più favorevole e vendibile dal punto di vista commerciale.

I maestrini, che hanno tra i 7 e gli 11 anni guideranno nello studio i 25 ripetenti, si sono rivelati più intransigenti o inoffensivi con gli studenti vip?
Alcuni sono molto tranquilli, altri più severi ma alla fine tutti si addolciscono e vince l’empatia. Soprattutto quando riconoscono i personaggi, visto che molti di loro sono delle star sui social.

Tra i ripetenti chi l’ha colpita di più?
Sono impazzito per Nicola Ventola ma è strepitoso Totò Schillaci: con quegli occhi gli perdoni tutti gli strafalcioni, anche perché è uno che non ha studiato per portare il pane a casa. Altri sono sorprendenti, come Eleonora Giorgi. Poi c’è Flavia Vento che fa la Vento che mette in discussione i dogmi scolastici. E c’è Vladimir Luxuria che svetta.

Luxuria fu la sua inviata all’Isola dei Famosi, dieci anni fa. Che cosa ricorda di quell’esperienza?
Era la mia prima conduzione importante e arrivavo dopo i fasti di Simona Ventura. L’ho fatta da incosciente, con il mio manager Franchino e mia mia moglie Manuela che mi sostenevano durante le pubblicità: mi ricaricavano come fossi un pugile un po’ suonato.

Si sentiva davvero così?
Fino ad un certo punto sì. Apicella diede del “ricchione” a Malgioglio e scoppiò il caos. Cristiano in diretta sbottò contro di me: «La Ventura non avrebbe mai permesso una cosa simile». Alla decima bordata incassata, venne fuori il tamarro di San Donato Milanese che è in me: buttai la cartelletta per terra e lasciai tutti senza parole. Fino a quel momento si approfittavano della mia eduzione per mancarmi di rispetto ma quel gesto cambiò tutto e decollò lo show.

Deve ringraziare Malgioglio, insomma.
Non lo ringrazierò mai abbastanza. Grazie a quell’episodio scattò l’hype e salirono gli ascolti, tanto che chiudemmo quell’edizione con il 19% di share in media. Oggi con Cristiano c’è un ottimo rapporto, è come un cugino per me.

E suo padre, serio ingegnere dell’Eni, cosa pensava quando nei suoi programmi capitavano queste situazioni?
Non si è mai vergognato di ciò che facevo. È stato un ingegnere atipico, con un emisfero razionale bilanciato perfettamente dall’emisfero emotivo, e sapeva che erano dinamiche di spettacolo. Così come mia mamma: all’epoca dell’Isola rientravo in camerino e ancora microfonato e truccato chiudevo la porta e la chiamavo dal telefono fisso. Lei era sempre felice per me.

Ha perso entrambi i suoi genitori in meno di un anno, nel 2013. Oggi cosa le penserebbero di lei?
Capirebbero che sono una brava persona, che ho seguito i loro insegnamenti: hanno sempre insistito perché non perdessi di vista valori e principi importanti. E insistevano su una cosa: «Non sperperare i tuoi guadagni». Non credo di averli delusi.

Tornando alla tv: è vero che lascia Le Iene?
Potrei tornare o non tornare, forse già a febbraio, non ne sono sicuro. Da parte di tutti c’è comunque la massima serenità.

Perché vorrebbe lasciare?
Perché dopo cinque anni sento la necessità di cambiare. Io da sempre tengo una sorta di diario e sfogliandolo ho trovato delle pagine di quindici anni fa in cui scrivevo che il mio sogno era di condurre Le Iene. Ci sono riuscito. E ho fatto di più: con la Gialappa’s ho stabilito una sorta di comunità d’intenti ideologica e trovato un linguaggio che aderisce perfettamente al programma.

Programma che spesso finisce al centro delle polemiche: le è mai capitato di guardare un servizio e di sentire l’esigenza di dissociarsi?
Faccio una premessa: visiono almeno due o tre ore di servizi a settimane e pur non avendo voce in capitolo, se noto cose che reputo non giuste le segnalo e vengo ascoltato. In redazione poi c’è grande dibattito e grande pluralismo. Questo pregiudizio su Le Iene un po’ mi secca.

Non pensa che il pregiudizio dipenda da degli errori clamorosi?
Parliamo di una serie di servizi sbagliati andati in onda dieci anni fa, quelli su Stamina. Questo ha generato dei preconcetti assurdi. Poi c’è stato il caso del Blue Whale, dove ci furono degli errori nel montaggio: nonostante questi, purtroppo è un fenomeno che esisteva e conosco personalmente una famiglia napoletana che ha vissuto quel dramma. Quando mia figlia me l’ha raccontato, mi sono venuti i brividi.

Cosa farà dopo Le Iene e Back to school?
Fino a giugno ho un contratto con Mediaset poi non so cosa accadrà. Abbiamo un ottimo rapporto, stiamo a vedere.

Lei ha anche condotto Quelli che il calcio, storico programma di Rai2 chiuso alla vigilia dei venticinque anni di messa in onda. Che impressione le ha fatto la cancellazione?
Quando un programma chiude è sempre una brutta notizia. Lo dico col cuore in mano: forse potevano avere più pazienza e proteggerlo. Era un esperimento, che a me è piaciuto, andava tutelato e mi spiace che non ci sia più. Qual è poi l’alternativa a uno show che chiude? Dare spazio all’ennesimo talk politico? Anche no, grazie.

Non le piacciono i talk?
Nutro per il genere un profondo disinteresse. Mi faccio idea di ciò che accade nel mondo, nella politica e nelle cose di tutti i giorni leggendo giornali. L’aria viziata non mi interessa.

L’invasione dei virologi in tv che effetto le fa?
Guardando poco i talk, li ascolto poco.

Lei da poco ha avuto il Covid. Ora come sta?
Per fortuna ho avuto solo sintomi blandi ma non credo a quelli che “è un virus come gli altri”. Ho troppo rispetto per i migliaia di malati e per le troppe famiglie che in questi anni hanno perso i loro cari. Io per altro penso di averlo fatto a febbraio 2020, quanto il virus sembrava una cosa lontana, e quella volta fu parecchio tosta. Ricordo una tavolata a Sanremo con Ama e Fiorello, in cui lasciai la pasta ai frutti di mare perché ero completamente inappetente e pensai: «Ma che cacchio mi sta succedendo?».

Ultima domanda: lei ha esordito a Radio Deejay come l’Uomo della strada, come la ribattezzò Linus. Cos’è rimasto di quell’Uds?
L’ossessione per la didascalia, quella del non dare per scontato che le persone capiscano tutto. In realtà poi non sono mai stato un uomo della strada, perché vengo da famiglia piccolo borghese ma mi affascina da sempre la cultura popolare, il tamarro mi attira più di un becero borghese. Mi piace avere uno sguardo «verdoniano» sulle persone, osservare senza snobismi e riprodurre in maniera iperbolica tic e vizi degli italiani.

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