Il nome di Calisto Tanzi, morto oggi all’età di 83 anni, è inscindibile da una serie di inchieste e processi legati alla Parmalat. Tanzi è stato condannato complessivamente a più di 20 anni di carcere in tre diversi procedimenti per aggiotaggio, bancarotta fraudolenta e per il crac di un’altra sua società, la Parmatour. L’imprenditore fu fermato dai finanzieri della sezione di polizia giudiziaria della procura di Milano nelle stesse ore in cui il tribunale fallimentare di Parma dichiarava l’insolvenza della società di Collecchio, la multinazionale del latte gravata da un ‘buco’ che si intuiva colossale ma che solo successivi accertamenti quantificarono in 14 miliardi di euro.

Era il 27 dicembre 2003 e le due notizie (quella degli arresti e quella dell’insolvenza) fecero il giro del mondo in pochi minuti. Tanzi tornava in Italia da un viaggio in Ecuador che ancora oggi, è forse l’unico mistero non sciolto di quello che è stato definito “il crac del secolo”. Fu individuato in pieno centro a Milano dai finanzieri e portato a San Vittore con provvedimento del pm di turno Edi Pinatto per poi dover comparire davanti al giudice per le indagini preliminari, Guido Salvini. Il sospetto, mai confermato da riscontri, fu che Tanzi fosse andato a Quito per mettere al riparo il tesoro messo insieme in anni di distrazioni milionarie ai danni dei risparmiatori di mezzo mondo, dopo che Parmalat aveva fatto il suo ingresso a Piazza Affari (era il ’90) assorbendo una società già quotata, la Finanziaria Centro Nord, e aggirando i controlli della Borsa.

Il commissario Enrico Bondi, chiamato al capezzale dell’azienda dallo stesso patron circa un mese prima che tutto saltasse per aria, si rivolse ai segugi della Kroll, una società investigativa internazionale, perché accertassero se effettivamente Tanzi aveva occultato in Ecuador ingenti sostanze. Le indagini non portarono risultati e Tanzi continuò a sostenere che il viaggio in Sud America era stata una semplice vacanza con la moglie. L’inchiesta avviata sul crac dalla Procura di Parma (che costituì un pool di tre magistrati) fu divisa in più ‘tronconi’: alle indagini sulla bancarotta di Parmalat Spa e Parmalat Finanziaria si affiancarono il fascicolo sul crac Parmatour, il ramo turistico del gruppo alimentare di Collecchio, quello sul Parma Calcio, il ‘filone’ relativo ai politici che avevano avuto rapporti con Tanzi (poi archiviato), i fascicoli sulle banche italiane ed estere accusate di aver finanziato per anni una multinazionale già’ decotta, le inchieste Ciappazzi e Eurolat.

Gli inquirenti (da Bologna fu distaccato un gruppo di finanzieri per affrontare l’emergenza) trovarono in Fausto Tonna, ex direttore finanziario di Parmalat, un indagato disposto a collaborare. Fu Tonna – tornato in carcere a inizio 2021 per scontare la pena definitiva – a fornire le informazioni necessarie a comprendere gli artifici finanziari che avevano consentito al gruppo di occultare il proprio stato di insolvenza. La finanza creativa di Tonna era fatta di falsi molto spesso grossolani (come le ‘bufale’ del fondo Epicurum), di emissioni obbligazionarie a getto continuo e di un sistema di società costruito per trasformare i debiti in crediti da iscrivere a bilancio (come Bonlat, la società cassonetto’ del gruppo). Per alcuni giorni gli inquirenti si chiesero cos’era quel misterioso file chiamato “Retput” trovato nel suo computer: la risposta lasciò increduli, “rettifica puttanate”.

La procura di Milano avviò un’inchiesta per aggiotaggio e false informazioni ai mercati, a Parma il procuratore Giovanni Panebianco lasciò l’incarico travolto dalle polemiche, sostituito da Vito Zincani. Quando nel 2005 arrivò in procura Gerardo Laguardia, gli atti di indagine contavano quasi 3 milioni di pagine e occupavano un’intera stanza negli uffici che il Comune aveva messo a disposizione di una procura a corto di spazi. Gli indagati 180, poi ridotti a 110. Tra loro i manager del gruppo, familiari di Calisto Tanzi, banchieri e imprenditori come Sergio Cragnotti e Cesare Geronzi. Il processo principale partì nel marzo 2008 e si concluse nel dicembre 2010, dopo 91 udienze e l’audizione di 147 testi. Tanzi condannato a 17 anni e 10 mesi in appello. Il Tribunale condannerà altre 16 persone coinvolte, a diverso titolo, nel crac. Altre condanne arrivarono al termine del processo Parmatour. Sostanzialmente confermato nel novembre del 2015 dalla Cassazione il verdetto dalla Corte di appello di Bologna del 25 giugno 2014 per le nove persone rimaste imputate nel processo. In particolare, la Suprema Corte rese definitive sei condanne e ha disposto l’annullamento con rinvio su singoli capi di imputazione per tre imputati. In questo processo era stato condannato in appello ancheTanzi che aveva riportato una condanna a tre anni e sei mesi che era stata conteggiata, per effetto della continuazione del reato, in aumento a quella del crac principale della Parmalat totalizzando una pena complessiva pari a 21 anni e cinque mesi di reclusione. In appello era stato assolto con la formula perché il fatto non sussiste anche l’ex banchiere Gianpiero Fiorani che guidava la Banca popolare di Lodi.

Ma è con il passaggio in giudicato della sentenza a 8 anni e un mese pronunciata a Milano che (maggio 2011) Tanzi venne ancora arrestato. Nel frattempo la magistratura aveva sequestrato il tesoretto di opere d’arte che l’ex patron aveva occultato prima del crac (più di 100 opere dei maggiori artisti europei del XIX e XX secolo) e avviato un’altra inchiesta finita col patteggiamento a 8 mesi in continuazione nel 2013. Fuori dai giochi le banche messe sotto inchiesta dai pm di Milano. Morgan Stanley, Citigroup, Deutsche Bank e Bank of America e i sei manager imputati a Milano. Erano accusati di aver ‘gonfiato’ con false comunicazioni al mercato i titoli della Parmalat e per aver emesso bond spazzatura facendo credere ai risparmiatori che il gruppo fosse sano quando in realtà sano non era ed era già travolto da una valanga di debiti che, nel dicembre 2003, al momento del crac. Tutti assolti ”per non aver commesso il fatto” o perché ”il fatto non sussiste”. Durante l’indagine patteggiarono invece Nextra e Ubs.

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