Oggi l’Aida di Giuseppe Verdi compie 150 anni. A commissionare l’opera al musicista di Roncole fu Ismail Pascià, allora khedivé (cioè viceré) d’Egitto. Il regnante voleva celebrare l’apertura del Canale di Suez (avvenuta nel 1869) con una composizione di gran prestigio e per questo la scelta cadde su Verdi, in quel momento considerato tra i maggiori maestri europei. Inizialmente Verdi rifiutò, poi però l’inaugurazione del Teatro khediviale dell’Opera del Cairo con Rigoletto e la successiva trattativa condotta da Auguste Mariette e da Camille Du Locle (quest’ultimo già direttore dell’Opéra Comique nonché co-autore del libretto del Don Carlos), convinsero Verdi a comporre Aida che ancora oggi resta una delle opere liriche più famose al mondo.

La Prima si tenne al Cairo il 24 dicembre 1871 e, anche se Verdi non vi prese parte per protestare contro la presenza solo di politici e autorità, ottenne un gran successo. Dopo sei settimane – l’8 febbraio 1872 – Aida debuttò alla Scala di Milano ricevendo consensi a non finire. Fu quello l’avvio di un successo che ha toccato tutti i teatri lirici mondiali e che va avanti, appunto, da 150 anni.

Purtroppo il committente, il viceré d’Egitto, non ebbe la stessa fortuna. Dopo 16 anni e mezzo di potere, Ismail Pascià fu costretto a dimettersi a causa delle disastrose condizioni delle finanze egiziane seguite al grande progetto di lavori pubblici e di riforme sociali e amministrative. In seguito alla sua abdicazione, e fino alla morte (il 2 marzo 1895 a Costantinopoli), Ismail visse sempre in esilio e tra i Paesi che l’ospitarono vi fu anche l’Italia. Nell’estate del 1879, infatti, con la sua corte lasciò Il Cairo e si imbarcò ad Alessandria alla volta di Napoli. Visse a villa Favorita di Resìna (l’attuale Ercolano, in provincia di Napoli), ma probabilmente la dimora alle pendici del Vesuvio non doveva esser ritenuta consona al proprio alto lignaggio, così Ismail Pascià decise di trasferirsi altrove con il proprio harem e la scelta cadde su Palazzo Scala-della Gherardesca di Firenze, attuale sede del Four Seasons hotel.

L’ex-khedivé d’Egitto lo acquistò nel 1880 ma, non avendo ottenuto dal governo italiano il permesso di trasportarvi il suo harem dall’Egitto, se ne disfece dopo soli cinque anni rimettendoci 45mila lire. Per l’epoca, una cifra notevole. Nonostante l’acquisto di Palazzo Scala-della Gherardesca, ed esclusi alcuni brevi periodi trascorsi in Lombardia (in particolare in una villa brianzola dove fiorirono storie e leggende intorno alle continue fughe delle mogli dal suo harem), Ismail Pascià rimase in Campania fino al 1885, quando decise di trasferirsi sul Bosforo. Si ritirò infatti a Costantinopoli e qui morì dieci anni più tardi, per poi essere sepolto al Cairo. Il suo nome, oltre che per il Canale di Suez, resta legato alla committenza di una delle opere liriche più famose al mondo, che nel tempo ha fatto sognare a occhi aperti registi e scenografici.

Uno di questi è senza dubbio Franco Zeffirelli, che 40 anni fa aveva progettato – fin nei minimi particolari, com’era suo costume – un’edizione faraonica (in tutti i sensi) dell’opera verdiana. L’intenzione del regista fiorentino era di mettere in scena la versione di Aida più “realistica” che si potesse immaginare: sarebbero state infatti le tre piramidi della piana di Giza a fare da scenario alla vicenda della Principessa, figlia del re d’Etiopia.

Il committente di questa particolare edizione dell’opera sarebbe stato il governo egiziano, che in quel momento era guidato da Anwar al-Sādāt (Sadat), mentre la direzione musicale sarebbe stata affidata a uno dei direttori più blasonati a livello mondiale: Leonard Bernstein. La documentazione di questa impresa è oggi racchiusa nell’archivio storico e nel museo della Fondazione Zeffirelli, che ha sede a Firenze. Nel museo un’intera sala ricorda il forte legame tra il regista e l’opera verdiana, ma soprattutto vi sono in mostra alcuni bozzetti completi che fanno intuire la maestosità del progetto di Zeffirelli.

In archivio invece si trova, tra l’altro, la scrittura originale con annotazioni del regista e di Bernstein, il progetto dattiloscritto, un’intera cartella con elenchi dei set, piani di lavorazione, preventivi, accordi preliminari e lettere, sei fogli di schizzi per le scene e tre bozzetti tutti firmati da Zeffirelli, ben 54 fogli con storyboard, altri 69 già completi di didascalie, una ventina di fotografie delle piramidi e la partitura vocale di una canzone scritta da Bernstein nel settembre 1980.

Si tratta di materiale preziosissimo che testimonia la fase avanzatissima dell’impresa denominata Aida alle Piramidi in Egitto che solo i colpi di fucile del fondamentalista che uccise Sadat il 6 ottobre 1981 impedirono che potesse diventare realtà.

Allo stesso tempo, tuttavia, nonostante il progetto non abbia mai visto la luce, rimane il sogno di Zeffirelli di mettere insieme un committente (il musulmano Sadat), un direttore d’orchestra (l’ebreo Leonard Bernstein) e un regista e scenografo (lui stesso, cattolico) per un’idea culturale e spettacolare condivisa, che superava le barriere religiose, ponendo le basi di un proficuo dialogo tra le parti.

Non era un’idea peregrina e il sangue di Sadat non la fermò: più tardi infatti Zeffirelli l’avrebbe ripresa con la sceneggiatura di un film che si intitolava I tre fratelli, basato su una storia che narrava – come indicò lo stesso regista in un’intervista – “dell’incontro tra le tre religioni, cristiana, ebraica, musulmana, un’avventura umana che parla un linguaggio attuale”. Anche in questo caso l’idea rimase tale, ma stavolta solo per motivi anagrafici dell’autore.

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