“È vero, alcune delle persone che appartenevano alla Mala del Brenta, sono invecchiate in carcere, ma hanno dimostrato la loro pericolosità e la capacità di aggregazione quando sono uscite. Assieme alla capacità di riprendere i rapporti che avevano in passato. Sono rientrati nelle attività delittuose, in particolare lo spaccio di sostanze stupefacenti”. Bruno Cherchi, procuratore della Repubblica di Venezia commenta così il duro colpo che le indagini della Procura Antimafia e dei carabinieri del Ros hanno inferto all’associazione criminale sorta sulle ceneri dell’organizzazione che trent’anni fa era diretta da Felicetto Maniero e che venne sgominata con l’inchiesta che portò al primo, vero maxi processo per mafia in Veneto.

Tra vecchi malavitosi e nuovi adepti adesso sono finite in manette 25 persone, altre sette sono finite ai domiciliari mentre per sette è scattato l’obbligo di presentazione. A questo gruppo si aggiungono una quarantina di indagati a piede libero, tra cui Mario Pandolfo, che era il braccio destro di Maniero e che è stato scarcerato di recente, dopo una lunghissima detenzione. L’accusa è di aver riportato il controllo sul territorio, in particolare a Venezia, attraverso vendita di droga, estorsioni, rapine e il controllo di attività legate alla gestione dei flussi turistici, i famosi “intromettitori” che operano sull’isola di Tronchetto. Sono stati sequestrati cocaina e beni per un valore di circa un milione di euro e sono state trovate numerose armi da guerra, tra cui anche fucili kalashnikov. Dal quadro di una ramificata associazione per delinquere emerge un ruolo particolare delle donne. “Un tempo la Mala del Brenta era costituita quasi prevalentemente da uomini – ha spiegato Cherchi – adesso abbiamo individuate figure femminili coinvolte soprattutto nell’attività di riciclaggio e di intestazione di beni”.

Il nucleo della nuova mala ruota attorno al “clan dei mestrini”, tra cui alcuni settantenni tornati in libertà negli ultimi anni. È dal 2016 che carabinieri e Procura veneziana stavano ricostruendo con pazienza il quadro delle nuove complicità. Un capitolo particolare è quello delle vendette. In particolare nei confronti di Maniero, il capo diventato un “pentito”, e di Paolo Tenderini. Negli ultimi dieci anni Maniero è vissuto a Brescia, prima di finire in galera per maltrattamenti nei confronti della propria compagna. Ebbene, alcuni “mestrini” si erano recati nel capoluogo lombardo cercando contatti con malavitosi locali per scoprire dove abitava Maniero. Il piano è rimasto allo stato embrionale, perché poi “Faccia d’angelo” è stato arrestato nell’ottobre 2019. A quell’epoca circolava la voce che Maniero avesse voluto finire in carcere per sfuggire alla caccia da parte dei suoi ex compari. In realtà ha affrontato un processo vero, conclusosi con una condanna a 4 anni di carcere.

Tenderini, invece, abita a Marghera e quindi sapevano dove trovarlo. I carabinieri hanno scoperto che la banda si era procurata esplosivo e timer a Brescia per farlo saltare in aria. Uno dei componenti stava tornando in auto a Mestre quando era stato fermato a Verona da una pattuglia della Polizia Stradale che lo aveva trovato in possesso dell’esplosivo. Così era stato fermato senza che gli investigatori si scoprissero. Nel mirino c’era anche Giampaolo Manca, ex luogotenente di Maniero, rimasto in carcere per 36 anni, che ha scritto alcuni libri sulla sua esperienza all’inferno, avvertendo i lettori: “Non sono un esempio da seguire”. L’attentato sarebbe dovuto avvenire a Portogruaro, durante la presentazione di un libro, ma Manca, annusata l’aria, si era rivolto ai carabinieri.

L’uomo di fiducia e di punta della banda è Loris Trabujo, “intromettitore”, motoscafista e figura di spicco al Tronchetto, che una quindicina di anni fa era stato coinvolto in un processo, ma era stato assolto. Un ruolo di spicco aveva anche Gilberto “Lolli” Boatto, indicato come il capo carismatico del gruppo. Non solo droga. Anche estorsione, ad esempio ai danni degli “intromettitori” che trasportano turisti dal Tronchetto a Piazza San Marco. Un giorno uno di loro ha ricevuto la visita di un emissario della banda: “È tornato tutto come prima”, gli dicono. E comincia a pagare 4 mila euro al mese di “pizzo”. Tra le rapine contestate anche un colpo da poche centinaia di euro alla biglietteria dei battelli per gli Alberoni e le Zattere avvenuta a Fusina nel 2015. Nel 2019 avevano invece rapinato al Tronchetto 600 mila euro al titolare di una licenza di conducente d’auto, che aveva appena concluso la vendita della licenza a un albergatore. Comunque niente al confronto con gli “uomini d’oro” di Maniero che svaligiavano i depositi dell’aeroporto Marco Polo o l’Hotel des Bains.

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