Nel 1929, verso la fine della sua vita, Sigmund Freud scrisse un libro sociologico e filosofico intitolato Il disagio della civiltà. In sintesi in questo testo elaborò l’idea che i bisogni dell’individuo confliggono con le regole della civiltà, per cui il desiderio personale di completa libertà istintiva cozza con le limitazioni che si determinano nell’appartenere a un gruppo sociale.

Mi pare che tutti viviamo ora questo senso di disagio per cui, pur appartenendo a un agglomerato di sette miliardi di esseri umani articolato e complesso, sentiamo istintivamente di avere bisogno della nostra individualità. Leggevo oggi di un signore ricoverato per Covid presso un ospedale che indossava una maglietta con scritto “no green pass”. Pur dovendo accettare le regole che tutti i ricoverati avranno, vuole ribadire la sua individualità affermando il proprio convincimento.

Ritengo che il suo “no” non sia poi tanto originale, ma strumentalizzato da imbonitori più o meno interessati a fare carriera politica e stride con il fatto che alla fine i tanto odiati medici “asserviti alle big pharma” lo devono salvare dalla morte per soffocamento.

Il Covid, con lo stress correlato alle restrizioni, ai problemi economici e sociali e ai lutti, ha fatto da stura per tutti i disagi sociali che paiono ora volersi incanalare in lotte per affermare il proprio diritto a essere unici e diversi. Molti individui vivono questo malessere e trovano nel “ribellismo a prescindere” una via per far emergere la loro protesta di individui sofferenti. La società è come una pentola che, alimentata dallo stress del disagio pandemico, ha bisogno di una valvola di sfogo. Le proteste fungono da momento collettivo atto a incanalare questo disagio.

Per questo motivo ritengo come psicologo che sia utile lasciare lo spazio della protesta, naturalmente cercando di tenere sotto controllo le espressioni estreme e distruttive. Negare una via di sfogo al disagio sociale, anche se si esprime con manifestazioni pericolose per la diffusione del virus, sarebbe controproducente perché rischierebbe di determinare una chiusura nel disagio individuale. Nel giro di una settimana nel raggio di pochi chilometri da dove vivo si sono consumate quattro tragedie folli: a Modena un uomo alcolista ha ucciso la madre; a Sassuolo un ragazzo, accecato dalla gelosia, ha ucciso i suoi due figli, l’ex moglie, la suocera per poi suicidarsi; a Montese un anziano ha ucciso la moglie perché russava e a Reggio Emilia un giovane ha ucciso una ragazza di cui si era invaghito.

Non voglio affermare che questi episodi siano da ascrivere solo al disagio derivante dalla pandemia, ma certamente hanno trovano un terreno fertile nella chiusura sociale, familiare e individuale. La donna appare la vittima sacrificale di uomini che si sentono intrappolati da un malessere che non riescono a contenere. Aumentare le pene, leggi drastiche da “buttiamo via le chiavi” vengono evocate quando succedono questi delitti ma, purtroppo, non servono a granché perché intervengono sempre dopo che gli eventi si sono determinati. Criminalizzare e controllare tutti gli uomini che minacciano temo richiederebbe un apparato enorme di polizia e meccanismi di controllo mastodontici.

Ci vuole qualcuno di autorevole che infonda speranza, che accetti e accolga le proteste del “ribellismo a prescindere” senza isterismi e senza criminalizzare il dissenso e indichi una strada collettiva da seguire in quella che tutti ci auguriamo essere la fine della pandemia. Già parlare della fine, che a mio avviso è a portata di mano, della pandemia offre a ognuno di noi un senso di sollievo. Basta quindi ai talk show in cui si eccitano gli animi uno contro l’altro solo per fare audience. Occorre tornare alla pacatezza nelle manifestazioni pubbliche. Chi esercita il potere politico e d’indirizzo sociale non deve reagire con provvedimenti drastici, ma con tranquillità porre regole accettabili.

Soprattutto, credo non si debba stare solo a sentire i virologi, che per loro studi vogliono provvedimenti rilevanti contro la diffusione virale, ma anche sociologi e psicologi che possono rendere evidente che è meglio convivere col virus piuttosto che provocare un disagio sociale incontrollato. Ritengo che le proposte sull’obbligo vaccinale siano solo demagogiche, rischino di esacerbare gli animi e acuire il disagio collettivo e individuale.

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