Il 26 febbraio 2018 Matteo Renzi, all’epoca segretario del Pd, è ospite di un forum organizzato da La Stampa per discutere del programma elettorale. Manca poco più di una settimana al voto per il rinnovo del Parlamento. Dopo quasi un’ora di conversazione, l’allora direttore del quotidiano torinese Maurizio Molinari (oggi alla guida di La Repubblica) chiede a Renzi se teme “interferenze digitali da parte di attori russi a ridosso del voto”. Renzi si dice “certo che ci siano state durante la campagna referendaria” e si lamenta dell’esistenza di una “doppia struttura di notizie false che viene utilizzata da canali vicini a partiti che competono alle elezioni”. L’ex premier non fece riferimento esplicito ad alcuna forza politica, ma all’epoca le polemiche si erano spesso concentrate sulla Lega e sul M5s.

Il tema è ripreso poco dopo da Alberto Infelise, ora caporedattore del quotidiano di Torino, che chiede all’ex presidente del Consiglio: “Lei esclude che all’interno del suo partito e degli attivisti del suo partito, nelle forme più istituzionali e meno istituzionali, di comunicazione possano esserci esempi di questo tipo?“. In quel momento Renzi è distratto, sta guardando il telefonino e chiede che la domanda sia ripetuta. Infelise la ripete: “Lei dice che questo tipo di comunicazione aggressiva può sfociare in fenomeni di fake news e di aggressione sui social network può fare capo anche ad attivisti di altri partiti. Lei esclude che forme di comunicazione di questo tipo possano esserci all’interno del Pd e degli attivisti del Pd?”.

Renzi risponde: “Che ci siano degli scontri verbali tra attivisti sui social non poterlo escludere basta aprire una pagina facebook – dice – Quello su cui sono assolutamente in grado di dare contezza ed escludere ogni tipo di ipotesi a cui lei fa riferimento è la creazione di reti parallele che lanciano fake news. Cioè il punto non è che se tu scrivi su una cosa che Renzi ha i Rolex: il punto è se poi il ‘Renzi ha i Rolex’ lo infili in dei tubi web che vengono rilanciati alla velocità della luce da un canale di diffusione di notizia falsa e questo escludo che faccia capo al Partito democratico o a persone legate al Partito democratico”.

Come scritto dal Fatto Quotidiano, dalle carte della procura di Firenze sull’inchiesta sulla fondazione Open emergono decine di mail, chat e conversazioni che delineano i contorni di una struttura di comunicazione per la propaganda renziana sui social, che si avvaleva tra le altre cose di account falsi e software per monitorare e influenzare la campagna elettorale sul web e tentare prima di influenzare la campagna referendaria. In una mail il giornalista Fabrizio Rondolino, da sempre vicino a Renzi, aveva proposto anche una struttura per colpire gli avversari politici e i giornalisti nemici. Renzi, venerdì sera in tv, a Otto e mezzo, ha detto con una mezza frase che alla proposta di Rondolino disse di no senza specificare in che modo e in che circostanza. Al momento quel “rifiuto” non è emerso da alcun documento agli atti dell’inchiesta Open.

Video da Lastampa.it

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