“Quando torno in Italia i primi giorni a Licata sono sempre bellissimi. Ma poi, quando inizia la routine, capisco che molte cose sono cambiate e che io sono cambiato. Non riesco più ad accettare certi atteggiamenti, l’assenza di servizi o l’inerzia di tante persone”. Fabio Castiglione, 37 anni, è un andrologo e urologo siciliano. Da 5 anni vive e lavora a Londra, dove è considerato uno dei massimi esperti nel suo campo e ha ricevuto un riconoscimento come miglior andrologo europeo. Fabio si trasferisce a 19 anni a Milano, dove consegue la laurea in Medicina e Chirurgia nel 2009 presso l’Università San Raffaele e la specializzazione in Urologia. Poi il dottorato di ricerca presso la Katholieke Universiteit Leuven in Belgio, e un anno come chirurgo volontario trascorso in India, prima di stabilirsi a Londra definitivamente.

“Durante l’università iniziai a frequentare il reparto di Chirurgia plastica all’Humanitas, dove si usavano le cellule staminali del grasso per modellare le cicatrici ipertrofiche – ricorda Fabio al fatto.it –. Lì ebbi un’intuizione che cambiò la mia vita: utilizzare le cellule staminali per curare una patologia del pene chiamata la malattia di La Peyronie. Avevo 24 anni”. Fabio torna al San Raffaele dove inizia a lavorare alla sua idea nel reparto di urologia. “Durante la specializzazione ho avuto l’opportunità di andare in Svezia per 6 mesi e poi negli Stati Uniti alla Johns Hopkins per altri 6 per imparare i modelli animali di medicina sessuale”. Dopo 3 anni “di notti in bianco”, i risultati vengono pubblicati, attirando grande interesse.
“Il giorno in cui sono andato via dall’Italia lo ricordo bene. Ho festeggiato i miei 30 anni all’estero”, sorride Fabio, che dal 2016 è allo University College Of London Hospitals (UCLH) dove oggi è Consultant in Andrologia e Professore in Urologia. Nel campo sanitario le differenze sono nette. Nel Regno Unito c’è “molta più offerta di lavoro”, e anche il modo di lavorare è “molto diverso”. Negli ospedali italiani, spiega Fabio, “esiste un sistema piramidale molto rigido, quasi militare, dove a capo c’è il primario e sotto tutti gli altri. A ogni livello, come medico, senti il peso dei tuoi superiori”. Nel Regno Unito invece “non esiste un primario: ogni professionista lavora come unità singola”. I casi vengono “discussi in maniera collegiale in appositi meeting”. Questo tipo di organizzazione ha conseguenze positive: l’atmosfera è “molto più rilassata” e “ci si tratta da pari”. Insomma, conclude l’andrologo siciliano, il sistema è “più meritocratico e democratico, ma il paziente è meno seguito”. La carriera accademica in Uk è poi molto più veloce. “Io sono diventato professore associato in 5 anni. Non esiste una abilitazione scientifica nazionale. Devi solo avere un buon curriculum ed è l’università che ti assume direttamente”. Fabio ci tiene comunque a precisare che la sua visione è “limitata. Nonostante abbia lavorato in molti ospedali anche all’estero, non ho mai visto un luogo dove il paziente sia seguito come al dipartimento di urologia del San Raffaele di Milano, diretto dal Prof. Montorsi”, aggiunge.

La giornata di Fabio a Londra inizia alle 5.30. Lavoro dalle 9 alle 16, poi la clinica dove vede i pazienti fino alle 20. Due giorni a settimana sono dedicati alla ricerca. Il sabato e la domenica sono interamente per la famiglia. L’ospedale è a 5 minuti a piedi da casa: “Spesso mangio con i miei. Per me questo è il lusso più grande”, sorride. A Londra gli affitti sono molto cari, così come il costo delle case. Per il resto, è simile a Milano: “Le tasse sono alte, ma anche gli stipendi”. Nel Regno Unito per 6 mesi a inizio 2021 Fabio ha lavorato come operatore sanitario in terapia intensiva. “Il mio lavoro da andrologo non era necessario durante la pandemia e i manager mi hanno ricollocato. Pulivo i pazienti, non una cosa usuale per un medico. Non mi sono mai sentito così utile nella mia vita. Ho visto morire molte persone. Non ci si abitua mai alla morte”.

La Brexit, invece, sta avendo influenza sul personale: “Noi abbiamo problemi di medici, non se ne trovano, non vengono più nel Regno Unito così facilmente: ma ne abbiamo un estremo bisogno”.
Tra 10 anni Fabio si immagine felice così come lo è adesso. Tornare in Italia sarebbe “come trasferirsi in un nuovo Paese. Sì, ci penso, più per curiosità però, non per un reale bisogno. In Italia mi darebbero più spazio e più libertà. Però io amo Londra e mia moglie e mio fratello oggi abitano qui”. Una cosa, però, è certa. “Io devo tutto all’Italia, al prof. Montorsi e al sistema di formazione. Nonostante possa avere più opportunità a Milano, ho deciso di rimanere qui a Londra. Non ho più paura di mettermi in gioco”, sorride. Oltre al suo impiego in ospedale Fabio lavora come medico in una clinica per italiani nel Regno Unito, dove visita e aiuta giornalmente decine di connazionali. “Questo mi fa sentire meno in colpa di non essere rientrato al San Raffaele. È – conclude – come dare qualcosa indietro”.

Articolo Precedente

“Vivo in Finlandia dal 2002 e ora sono il primo preside italiano in una scuola del territorio. Casa mia ora è qui, ecco perché”

next
Articolo Successivo

“La ricerca italiana è affamata: non ha fondi. In Cile è in continuo movimento. Ecco come lavoro all’Osservatorio Europeo Australe”

next