Si chiede di eliminare rapidamente i sussidi ai combustibili fossili e si fa pure più volte riferimento al principale obiettivo indicato dalla scienza, ossia “ridurre le emissioni globali di anidride carbonica del 45% al 2030 rispetto al livello del 2010, per arrivare a zero nette intorno alla metà del secolo” come spiega dal 2018 il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc). Il problema sono le date (nonostante i ‘rapidamente’) e gli appigli che si forniscono ai Paesi che non ci stanno ad accelerare. Per questo, già nella prima bozza del documento finale della Cop26, un’elaborazione più estesa di quelle che sono le proposte della presidenza della Conferenza delle parti e che ora sarà la base di negoziazione tra i Paesi partecipanti ai colloqui, resta come nel documento finale del G20 di Roma quel riferimento a emissioni nette zero “intorno alla metà del secolo” invece che “2050” come chiede la scienza. Per questo non scompare, esattamente come a Roma, l’obiettivo globale di lungo termine di tenere l’aumento della temperatura globale media “ben al di sotto dei 2 gradi dai livelli pre-industriali” pur proseguendo gli sforzi per limitare l’aumento di temperatura a 1,5 gradi centigradi dai livelli pre-industriali. Chiaro che le potenze che correranno di più, si porranno come soglia quest’ultima (a cui si fa riferimento, invitando alle varie azioni), ma lasciare quel “ben al di sotto dei 2 gradi” è un appiglio per chi sta scegliendo di non correre. E tra questi, ci sono anche Paesi tra i maggiori inquinatori e che stanno crescendo di più. Una cosa (il riferimento a metà secolo per le emissioni nette zero) è legata all’altra (il limite massimo di aumento della temperatura) spiega bene l’Ipcc nel rapporto dello scorso agosto: “Rimanere sotto la soglia di 1,5°C sarà possibile solo con una immediata diminuzione delle emissioni di gas serra, raggiungendo emissioni nette di CO2 pari a zero a metà del secolo”. E lo sanno anche a Glasgow: “Richiede rapide, profonde e sostenute riduzioni delle emissioni globali di gas serra”.

I VERDI: “IRRESPONSABILE IPOCRISIA” – Per la direttrice esecutiva di Greenpeace International, Jennifer Morgan “compito di questa conferenza è sempre stato quello di limitare l’aumento della temperatura entro 1,5°C, ma se il testo non verrà modificato significa che i leader mondiali vogliono semplicemente rimandare l’obiettivo al prossimo anno”. Sul fronte dei combustibili fossili, poi, bisogna vedere cosa accadrà nelle prossime ore: “I Paesi produttori come Arabia Saudita e Australia lavoreranno per indebolire questa parte del testo prima che la conferenza si chiuda”. Per i co-portavoce di Europa Verde, Angelo Bonelli ed Eleonora Evi “la bozza di decisione finale della Conferenza ONU sul clima di Glasgow è un atto di irresponsabile ipocrisia carica di condizionali e in cui tutti i ‘sottolineare l’urgenza’ o ‘esortare’ a fare si traducono in una serie di inaccettabili rinvii che non conducono ad alcuna decisione definitiva, neanche quella di individuare una data sullo stop alle fonti fossili, prime responsabili della crisi climatica”. E riportano il dato europeo: “Utilizzando i dati dell’Ipcc, il Climate Action Tracker stima che per essere in linea con la soglia critica di 1,5 gradi centigradi, il target europeo dovrebbe essere quello di un taglio del 65% al 2030, rispetto ai livelli del 1990”.

LA BOZZA DEL DOCUMENTO – Eppure, nella bozza si “riconosce che l’impatto del cambiamento climatico sarà molto più basso con un aumento della temperatura a 1,5 C” e che “questo richiede azioni significative ed efficaci da tutte le parti in questo decennio critico”. Di fatto, nel documento, si esortano i Paesi a “rivisitare e rafforzare” entro la fine del 2022 i target di riduzione delle emissioni per il 2030 nei loro piani d’azione nazionali, proprio con l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi. Si invitano le parti a considerare ulteriori opportunità di ridurre le emissioni di gas serra “che non sono anidride carbonica”, e di accelerare l’eliminazione del carbone e dei sussidi ai combustibili fossili. E si sottolinea l’importanza “delle soluzioni basate sulla natura e degli approcci basati sugli ecosistemi, compreso proteggere e ripristinare le foreste, nel ridurre le emissioni e proteggere la biodiversità”, ma anche del ruolo “che la conoscenza e l’esperienza delle popolazioni indigene possono svolgere” contro i cambiamenti climatici. Per questo si esortano gli Stati a coinvolgere attivamente le popolazioni indigene nell’attuazione dell’azione per il clima. A proposito di foreste e indigeni “a Glasgow, abbiamo visto tanta ipocrisia con Bolsonaro che firma per fermare la deforestazione entro il 2030 quando ha approvato la legge ‘Marco Temporal’ che sfratta le popolazioni indigene per distruggere la foresta Amazzonica” aggiungono i Verdi, citando anche i casi della Cina (che apre nuove miniere di carbone) e della Germania “che amplia la miniera di Garzweiler, radendo al suolo due piccoli paesi”.

LA FINANZA, STRIGLIATA MA SENZA OBIETTIVI AMBIZIOSI – Nel documento un ampio capitolo è dedicato alla finanza “con la promessa di fornire 100 miliardi di dollari ai Paesi poveri, finora mai arrivati, mentre le spese per armamenti nel mondo sono arrivate a 2mila miliardi di dollari” accusano i Verdi. Nel documento si “nota con rammarico” che neppure il target dei 100 miliardi l’anno al 2020 “è stato raggiunto” e sottolinea la necessità “di un aumento del sostegno delle parti ai paesi in via di sviluppo, oltre l’obiettivo di mobilitare 100 miliardi di dollari l’anno”. Si accolgono “favorevolmente gli impegni accresciuti presi dai paesi sviluppati” per il fondo di aiuti ai paesi meno sviluppati previsto dall’Accordo di Parigi, impegni che hanno l’obiettivo “di arrivare al più tardi nel 2023 al target dei 100 miliardi di dollari all’anno”, come stima l’Ocse. In particolare, si citano i 413 milioni di dollari Usa (“che superano notevolmente il suo obiettivo di mobilitazione”). Nella bozza, in modo molto vago, si sollecitano i paesi sviluppati “ad aumentare urgentemente le loro previsioni di finanza climatica per l’adattamento, così da rispondere ai bisogni dei paesi in via di sviluppo” e si “chiede al settore privato, alle banche multilaterali di sviluppo e ad altre istituzioni finanziarie di migliorare la mobilitazione della finanza”. Per Tracy Carty, capo della delegazione Cop26 di Oxfam, la bozza “è troppo debole” e “non riesce a rispondere all’emergenza climatica che stanno affrontando milioni di persone, che oggi vivono con condizioni meteorologiche estreme senza precedenti e vengono spinte ulteriormente nella povertà”. Mancano solo due giorni per negoziare un accordo migliore. “Uno che si impegni – conclude – ad aumentare i finanziamenti per l’adattamento al 50 per cento entro il 2025”.

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