“Il rettore si è espresso in una nota lunedì, non ha ulteriori commenti”. Così rispondeva l’ufficio per la comunicazione della Statale di Milano nei giorni caldi dell’inchiesta sui presunti concorsi truccati, aggiungendo che “sull’altra vicenda il posto non è stato più coperto da nessuno, essendo intervenuto il ritiro del bando di concorso, ma a breve sarà discusso nel merito l’appello avverso la sentenza di primo grado, presentato dall’università”. E mentre l’indagine che ha inguaiato 24 docenti prosegue, sull’altra vicenda la sentenza d’appello è poi arrivata e dà torto marcio all’ateneo e al suo rettore. Il Consiglio di Stato ha confermato integralmente la condanna per la gestione delle procedure di assegnazione di un posto a cattedra di Storia economica a dir poco controversa. Il fattoquotidiano.it l’aveva raccontata quando impazzava la bufera sulle cattedre di medicina che ha investito, tra gli altri, anche il professor Galli. Avevamo scritto allora che lo stupore espresso dal rettore Elio Franzini sui giornali (“Sconcerto e sgomento profondi per ipotesi di una gravità senza precedenti per la Statale”) era quantomeno fuori luogo, visti i precedenti. Perché in effetti i precedenti c’erano eccome: l’ateneo era stato pesantemente sanzionato giusto il 21 gennaio 2021 dai giudici del Tar Lombardo per le “ingerenze” del rettore nelle procedure di selezione della cattedra di Storia. Cattedra rimasta poi curiosamente vuota. Vale dunque un breve riepilogo, la storia di un concorso che ha funzionato come un “flipper”, ma senza la variabile della fortuna.

Nel 2018 la Statale fa un bando per una posizione di professore di seconda fascia presso il Dipartimento di Studi storici. Luca Fantacci è il candidato esterno che sbaraglia tutti, conseguendo il miglior risultato. Il candidato interno arriva quarto ma presenta un esposto al rettore che gli offre il destro per nominare un “collegio di verifica”, con docenti di altro settore disciplinare (storia moderna). Il collegio riesamina titoli e pubblicazioni e ribalta da cima a fondo la graduatoria in favore del candidato interno: il primo diventa quarto, il quarto primo. Senonché la commissione originaria, caso piuttosto raro, non ci sta ad avvallare l’operazione e riconferma Fantacci come il “più meritevole”. Ma ecco un altro colpo di scena: il rettore stavolta, abusando del proprio potere – scriveranno i giudici – , annulla il precedente concorso e nomina una nuova commissione. Sono proprio i commissari a quel punto a tirarsi indietro: si dimettono in blocco. Il rettore però non si dà per vinto e, anziché confermare l’esito del concorso espletato, lo annulla definitivamente. Si “porta via la palla”, scrive il gruppo Trame (“Trasparenza e merito, l’Università che vogliamo”) che dà voce a 800 iscritti tra docenti e ricercatori universitari e chiede per questa vicenda le dimissioni di Franzini. Perché quel flipper impazzito per una cattedra di Storia, evidentemente, ha fatto arrabbiare molti. In primis il candidato “sgambettato”, che nel frattempo ha avuto un contratto di insegnamento, ma alla Bocconi. Fantacci ricorre, i giudici di prime cure gli danno ragione. L’ateneo deve pagare le spese di lite. Ma il rettore non si arrende: stavolta è lui ad appellarsi a giudici, anche se a pagare è sempre l’università.

E siamo all’oggi, perché perde pure questo. Che cosa dice la sentenza definitiva? Nel respingere l’appello il Consiglio di Stato mette nero su bianco che “la condotta dell’università (e quindi del suo rettore che fu parte attiva nel procedimento) appare sintomatica del riscontrato vizio di sviamento rispetto al fine che la procedura di concorso deve perseguire, ponendosi in evidente contrasto con i principi di buon andamento, efficienza ed efficacia che devono ispirare l’agire dell’amministrazione”. E ancora “l’Università, nonostante le previsioni programmatiche adottate, ha revocato un atto attuativo delle stesse, senza dare conto delle ragioni per cui dovevano esserne disattese le previsioni, e senza motiva in merito all’interesse pubblico perseguito con l’esercizio del potere di autotutela (…) Revocare una procedura, per poi eventualmente bandirne un’altra per soddisfare le medesime esigenze di programmazione, si pone in tensione con i principi di economicità e di efficacia dell’azione amministrativa”. Insomma, i giudici censurano e richiamano pesantemente il rettore per aver ingerito nella libera decisione di una commissione e ha poi brigato per eluderne le valutazioni solo perché il candidato vincitore, evidentemente, non avrebbe dovuto vincere ma un altro. Non è poi la grande accusa che muovo i magistrati di Milano alla “concorsopoli” della Statale?

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