Ci sono anniversari che vanno ricordati, anzi celebrati. Non per banale dovere, piuttosto per un giusto riconoscimento. Così lasciar scorrere il centenario della nascita di Antonio Cederna, il prossimo 27 ottobre, sarebbe stato molto più di una semplice dimenticanza: piuttosto una delittuosa omissione. Per questo motivo bisognerebbe mostrare gratitudine ad Annalisa Cipriani, vicepresidente della sezione romana di Italia Nostra, per aver voluto organizzare una serie di appuntamenti dedicati alla “multiforme” figura di uno dei padri dell’ambientalismo italiano. In realtà, molto di più. Uno degli intellettuali “migliori” della seconda metà del Novecento.

Scorrendo il programma degli incontri, a partire da quello dell’8 ottobre sul Parco dell’Appia antica fino a quello conclusivo del 27 ottobre sull’Archivio dedicato a Cederna, appare con chiarezza l’impegno preminente dello studioso su alcuni temi, il prodigarsi instancabile su alcune questioni che pian piano si sono legate inestricabilmente a lui. Sia la via Appia antica, e il suo contesto, sia l’agro romano sono minacciati, a seconda delle circostanze, da speculazioni e indifferenza, che anche grazie alle battaglie condotte da Cederna non hanno polverizzato ogni cosa o stravolto ulteriormente il paesaggio. Un tema sul quale Cederna si è speso, senza sosta, dedicandosi alla salvaguardia di litorali, fiumi e boschi, da nord a sud dell’Italia, non per una romantica vicinanza alla natura, ma perché gli appariva chiaro come la difesa del suolo non potesse prescindere da una attenzione verso quegli elementi. Insomma che fosse necessario tutelarli, salvarli da scriteriati progetti in alcuni casi così folli da sembrare “impossibili”.

Tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, in un crescendo che dimostra quanto l’assalto ai territori si fosse fatto più capillare, Cederna si occupa di difendere le coste dalla speculazione edilizia che minaccia Punta Ala, Portofino e la Versilia, i Campi Flegrei, la Costiera Amalfitana e Sorrentina, Arzachena e la costa Smeralda. Si interessa anche di inquinamento e sfruttamento intensivo di laghi e fiumi, come l’Adda e il Po, il lago di Tovel e il lago d’Averno, e di difesa dei paesaggi alpini e delle aree interne.

La costruzione di strade e autostrade in aree di pregio paesaggistico sono ai suoi occhi delle pericolose sottrazioni perché privano tante porzioni di territorio di elementi naturali distintivi, nel contempo minandone la sicurezza e creando le premesse a piccoli e grandi disastri.

Cederna scrive: “Dell’A12 Grosseto-Livorno, realizzata a danno del Parco di san Rossore Migliarino. Dell’Autostrada Rovigo-Trento, che ha comportato il sacrificio della Valdastico. Del Raccordo per il traforo del Monte Bianco in Valle d’Aosta. Ancora, della costruzione della tangenziale di Napoli. La relazione tra la trasformazione del paesaggio e il verificarsi di frane e alluvioni è indubitabile”.

Che Cederna sia stato non solo uno strenuo difensore della geografia fisica e di quella antropica storicizzata, ma anche un visionario, lo evidenziano i tanti interventi apparsi sulle maggiori testate italiane. “Secondo calcoli attendibili entro l’anno 2100 tutta l’Italia sarà consumata e finita, non ci sarà più un metro quadrato che non sia cementificato e asfaltato”, scrive Cederna nel 1984 su L’Espresso, aggiungendo: “È una proiezione basata su quel che è successo fin qui: nell’ultimo ventennio milioni di ettari di terreno agricolo (un decimo dell’Italia) sono stati sommersi da case, strade, industrie, discariche, cave, eccetera, pari a un consumo annuo di territorio dello 0,5-0, 7%. Già il 50% del suolo risulta impermeabilizzato, e non è più in grado di assorbire le piogge; frane e alluvioni si succedono ogni tre mesi e ci costano 3.000 miliardi l’anno: ma non abbiamo ancora la legge che prevenga il dissesto idrogeologico. Ogni anno da colline e alvei di fiumi vengono selvaggiamente asportati 300 milioni di tonnellate di materiali, ma non ab­biamo ancora una legge nazionale che regoli l’attività estrattiva. Siamo l’ultimo paese del mondo quanto a estensione di aree protette (solo l’uno e mezzo per cento del bel paese), ma non abbiamo ancora la legge quadro per la tutela dell’ambiente naturale. In omaggio alla rendita fondiaria abbiamo le peggiori città d’Europa, prive degli spazi pubblici elementari e con la più bassa dotazione di verde, ma non abbiamo ancora una legge che disciplini il regime dei suoli”.

Cederna parla di consumo di suolo decenni prima che l’Ispra inizi a restituire dati sull’impermeabilizzazione dei suoli, prima che i rapporti annuali, pubblicati a partire dal 2014, forniscano le cifre del disastro italiano. Cederna lancia l’allarme, sostanzialmente inascoltato. Basti pensare alla legge sul consumo di suolo, da anni dibattuta nelle aule parlamentari, ma ancora in attesa di approvazione. Dal dicembre 2012 ad oggi si sono succedute 12 proposte di legge, compresa l’ultima in ordine di tempo, il Ddl 164, presentata nel 2018 dal Forum Italiano dei Movimenti per la Terra ed il Paesaggio. Proposte che peraltro hanno spesso registrato una modificazione dell’impianto iniziale, fino a rendere meno incisive le determinazioni finali, mai, in ogni caso, arrivando a varare una legge.

Non sono bastati sei governi per poter brindare ad una legge necessaria: da quello Monti al Conte II, passando per il Conte I, quelli di Paolo Gentiloni, Matteo Renzi ed Enrico Letta, fino ad arrivare ai primi mesi di quello di Mario Draghi. La politica tutta, senza eccezioni, non è stata in grado di assicurare al paese e alle persone che lo abitano uno strumento utile ad opporsi alla distruzione dei paesaggi, di assicurare la salvaguardia di luoghi e persone. Nessuna legge, nonostante i dati in proposito sempre più allarmanti, nonostante anche la Corte dei Conti, con la Deliberazione del 31 ottobre 2019, abbia invitato a ridurre il consumo di suolo, evidenziando il rapporto con i fenomeni di dissesto idrogeologico che comportano un grave impegno finanziario per il paese.

“I 330 chilometri di litorale laziale offrono uno spettacolo di completo, irreversibile sfacelo ambientale e urbanistico. Non è dato scoprire un solo tentativo di razionale organizzazione del territorio, non uno spazio libero e naturale stabilmente preservato, non un insediamento in profondità e rispettoso della costa: ma un pressoché continuo, soffocante, degradante ammasso edilizio, come se ogni sforzo fosse stato messo in atto per sbarrare il libero accesso al mare”. Così scrive Cederna ad agosto 1973 sul Corriere della sera. Da allora le criticità si sono fatte più gravi, non solo lungo quel tratto di litorale o nelle fasce paracostiere. I paesaggi italiani sono stati stravolti con il pretesto della modernizzazione, delle necessità del turismo, delle richieste dei territori. In realtà solo scuse che mettono in pericolo le particolarità di molti luoghi, la loro sicurezza, offendendo Cederna e la sua ostinata battaglia per la salvaguardia dell’Italia. Davvero un triste compleanno il suo.

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