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Jovanotti e la lotta contro il cancro della figlia Teresa: “Credevo di essere quello forte in famiglia e invece avevo le gambe che cedevano”

In un teatro Manzoni pieno a metà, a causa delle regole imposte dalla pandemia, Lorenzo Cherubini ha raccontato, al pari di alcune pazienti, la propria esperienza col cancro, quella che lo ha coinvolto come padre, e alla fine ha regalato a quel pubblico speciale un paio di canzoni, famosissime, accompagnandosi con la chitarra, ricevendo applausi entusiasti

di F. Q.

“Qualche anno fa mia figlia Teresa ha scoperto di avere un nodulo al seno e allora ho fatto una telefonata all’Ieo. Mi hanno passato Paolo Veronesi. Allo Ieo ho trovato degli amici. Poi per fortuna il nodulo si è dimostrato non preoccupante: un fibroadenoma. Si dice così, no? Ormai conosco anche questi termini”. Inizia così la toccante testimonianza portata da Jovanotti all’annuale riunione ‘Ieo per le donne’ dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano. In un teatro Manzoni pieno a metà, a causa delle regole imposte dalla pandemia, Lorenzo Cherubini ha raccontato, al pari di alcune pazienti, la propria esperienza col cancro, quella che lo ha coinvolto come padre, e alla fine ha regalato a quel pubblico speciale un paio di canzoni, famosissime, accompagnandosi con la chitarra, ricevendo applausi entusiasti.

Un paio di anni fa è infatti iniziata la battagli di Teresa contro il tumore: “Siamo andati da un infettivologo, che le ha fatto fare un esame e mi ha detto di essere un po’ preoccupato e consigliato di farla vedere ‘meglio’ – ha raccontato Jovanotti -. Quindi ho richiamato Paolo. Nel frattempo ci eravamo sentiti per gli auguri di Natale, lui era venuto a un concerto. Ed è cominciata un’avventura che è continuata l’estate scorsa con mesi difficili. Solo oggi, che Teresa (20 anni) per fortuna sta bene e la malattia è scomparsa e ha ripreso la sua scuola, comincio a rendermi conto in maniera un po’ più razionale di tutto quello che è successo, degli incontri che ho fatto, delle scoperte che ho fatto rispetto alle persone vicine a me, alle mie due ragazze, mia moglie e Teresa, che hanno affrontato questo viaggio con una forza che mi ha sorpreso. Io credevo di essere quello forte del gruppo e invece ero quello che aveva le gambe che cedevano“.

Allo Ieo “ho scoperto – ha aggiunto – un luogo davvero eccezionale, da proteggere, da difendere. Che vive grazie alla spinta iniziale del professor Veronesi, il padre. Ma questa è una spinta che non solo non finisce, ma viene continuamente alimentata, duplicata dal lavoro di tutti. Noi ci siamo sentiti contemporaneamente molto normali, più o meno come gli altri, e molto speciali, come gli altri”. “Quello che io ho imparato da padre, in quel momento, da essere umano coinvolto direttamente, è che queste cose si affrontano, oggi con strumenti molto più avanzati, evoluti, complessi, un giorno alla volta, con un obiettivo davanti, pensando al futuro, ma – ha sottolineato – con coraggio, con speranza e con fiducia. Queste sono le parole fondamentali. Ma ne aggiungerei una, forse un po’ più astratta ma necessaria, con l’amore”.

E da questo punto di vista il Covid ha aiutato la sua famiglia “perché ci ha facilitato l’isolamento. Io sono ad esempio riuscito a tenere a bada tutti i parenti. Perché tutti i parenti proiettavano su Teresa la loro preoccupazione”. E poi “il mio lavoro, con il Covid, ad esempio, si è fermato. E meno male che si è fermato, se no avrei dovuto spiegare a tutti che non potevo suonare, perché mia figlia… Questo dal mio punto di vista è stato un aspetto positivo”. “So che cosa state passando – ha detto alle donne in sala -, che questa è un’avventura per la quale l’obiettivo è uscirne più forti, dal punto di vista interiore e anche dal punto di vista fisico. Certo, siamo più vulnerabili. Ma la vulnerabilità di per sé non è un fatto che ci rende deboli, ci rende più umani, più consapevoli e quindi anche più forti”.

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