All’indomani dell’esito delle elezioni locali eccoci a ragionare, tristemente, di politica sessuata.

Mi servo dell’analisi fatta dall’ecofemminista e parlamentare di lungo corso, Laura Cima, che nel suo blog osserva come “le poche amiche ecofemministe che hanno trovato spazio e si sono coraggiosamente candidate nelle loro città e in Calabria non sono state elette”. Come ricostruito da questo sito, nelle liste elettorali su 162 candidati sindaci nei 20 capoluoghi solo 30 erano le donne. E già questo è un dato che fa riflettere, pur nell’ormai consolidata abitudine all’apartheid sessuato nella politica italiana, specie se parliamo di ruoli di governo.

Un colpo d’occhio che dice (quasi) tutto è racchiuso nell’elaborazione del Sole 24 ore, basata sui dati di Pagella Politica: in 75 anni le donne nei vari governi sono state solo il 6,5%.

Un numero impressionantemente minuscolo.

Parliamo di un pugno di nomi, tra i quali Tina Anselmi, Nilde Iotti, Emma Bonino, Livia Turco, Rosa Russo Iervolino, ma mai nessuna titolare del dicastero economico (forse perché un conto è l’economia domestica, per tradizione relegata alle massaie, mentre l’Economia con la maiuscola in Italia ha bisogno di virilità?).

Una bella domanda.

I nomi citati rappresentano l’eccellenza dei ruoli apicali femminili in politica, sono riconoscibili e rispettati per competenza e autorevolezza: ma che ne è delle donne, che sono oltre la metà nel paese, quando si tratta di candidarle, nei ruoli di vertice nelle istituzioni locali, così come nelle liste?

Con la crisi del Movimento 5 stelle si è conclusa, sembra, l’epoca delle sindache; il laboratorio coraggiosamente creato in Calabria da un gruppo di attiviste femministe che hanno scelto #Ilgovernodilei come titolo (l’ispirazione è data dal libro di fantascienza distopica scritto da Charlotte Perkins Gilman nel 1915, Terra di lei ) non ha dato esito positivo. Sembra del tutto congelato il tentativo di portare in Italia l’esperienza del partito svedese Iniziativa femminista, che elesse in Europa nel 2014 la prima femminista al Parlamento dell’Unione; il femminismo è sempre stato diviso nella valutazione del coinvolgimento di attiviste nelle istituzioni, e questa diffidenza ha prodotto il vuoto di presenze femministe nei partiti, insieme ad una distanza siderale di linguaggio e pratiche tra i movimenti e le istituzioni, fatta eccezione per l’esperienza delle Verdi, ormai lontana.

In questo vuoto, e in questa cancellazione del femminile, ha dunque prosperato la retorica delle ‘donne’, che servono solo quando si tratta di ottemperare alle leggi sulla parità nelle liste: una manciata di donne cooptate, molte volte presenze ancillari del leader. La destra è molto avanti in questo: a Milano, per esempio, è stata eletta Chiara Valcepina, avvocata distintasi per chiarezza nel video inchiesta di Fanpage sul proprio bacino di voti.

In generale, oltre al dato assai preoccupante dell’astensione, in questa pur parziale votazione locale emerge un netto arretramento della presenza di donne che siederanno nei consigli locali.

E resta il problema di fondo: anche ammettendo (e ancora non è così) che ci fossero tante donne nei vari luoghi della rappresentanza è davvero sufficiente essere donne biologicamente per portare sensibilità alternative al patriarcato nel governo della cosa pubblica?

Ora che Sergio Mattarella finisce il suo mandato – fa notare Laura Cima – quante proposte di nomi femminili stanno emergendo? Si mormora sui social di Bonino e di Bindi, ma sono rumors già sentiti, ben sapendo che i giochi si fanno altrove, e che sono giochi da maschi e tra maschi.

Persino la Barbie, un tempo simbolo dello stereotipo femminile si aggiorna con le fattezze, e il ruolo, dell’astronauta e scienziata Samantha Cristoforetti, per ispirare le bambine.

Ma in politica è ancora buio fitto: l’aspirazione “da grande vorrei fare la Presidente della Repubblica” risulta ancora un miraggio, nel linguaggio così come nell’immaginario, mentre poco distante geograficamente, ma moltissimo in termini di cultura politica, in Germania gli uomini dicono tranquillamente di aspirare a fare ‘la Cancelliera’.

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