Cancellazione del debito dei Paesi più poveri, una carbon tax globale, il phase out del carbone entro il 2025, una legge contro le delocalizzazioni. E fuori aziende inquinanti e industria del fossile da scuole e università. Alla Youth4Climate che ha preceduto la Pre-Cop 26 il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha detto ai ragazzi: “Oltre alle proteste, servono proposte”. Un concetto ribadito più volte, anche in risposta al bla bla bla dell’attivista svedese Greta Thunberg.

Ed eccole, le proposte. Sono alcune di quelle contenute nella “Dichiarazione per il futuro“, un documento i cui punti chiave sono stati già consegnati al presidente del Consiglio Mario Draghi e prodotto dalla Climate Open Platform, la rete che riunisce oltre 130 realtà di attivismo, tra cui Fridays for future, Greenpeace, Legambiente, Wwf, A Sud, Associazione Terra!, ActionAid, Isde, Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua e Libera. “Chiediamo che sia riconosciuto e tutelato, come nuova fattispecie ad hoc, a livello internazionale uno specifico diritto umano al clima stabile e sicuro come diritto fondamentale e come precondizione per la realizzazione e la tutela di tutti gli altri diritti umani fondamentali” spiega Marica Di Pierri, portavoce di A Sud, primo ricorrente della causa contro lo Stato italiano lanciata lo scorso giugno. Diversi i temi su cui si articolano le proposte della rete: diritti umani; acqua, cibo e risorse; lavoro ed energia; economia e finanza; saperi; città, territori e comunità per una transizione sistemica.

Diritti umani – La piattaforma di organizzazioni chiede, tra le altre cose, di introdurre riparazioni verso le comunità del sud globale e indigene di tutto il mondo attraverso il finanziamento immediato del Green Climate Fund e la cancellazione del debito dei paesi più poveri. Nel solo 2020, circa 82 milioni di persone (il 42% delle quali con meno di 18 anni) sono state costrette a migrare, quasi il doppio rispetto al 2010 e di più anche rispetto ai quasi 71 milioni di persone del 2018. “Nonostante i numeri così alti e le analisi dell’Onu parlino sempre più di crescita esponenziale del numero di persone costrette ad abbandonare il proprio luogo di vita per disastri ambientali e climatici – si spiega nel documento – non esistono dati certi sui migranti ambientali e climatici perché questa figura non è riconosciuta nella legislazione internazionale”. Più chiari i numeri sugli sfollati interni: durante il 2020 si sono registrati 40 milioni e mezzo di nuovi sfollati interni (tra questi quasi 31 milioni sono stati obbligati a fuggire a causa di disastri ambientali).

Acqua, cibo, risorse – E mentre nel mondo un miliardo di persone sono coinvolte nella produzione alimentare, si stima che gli agricoltori di piccola scala sfamino l’umanità producendo tra il 70 e l’80% del cibo totale. “Eppure più del 70% di chi soffre la fame vive in aree rurali – ricordano le organizzazioni – e i soggetti più colpiti dagli effetti dei cambiamenti climatici sono proprio contadini, pastori, lavoratori rurali, pescatori e popoli indigeni, specialmente se donne e giovani”. La rete chiede politiche pubbliche che promuovano e sostengano l’agroecologia contadina, con la nascita e la transizione di numerose aziende di piccola scala in contrasto alla concentrazione e all’accaparramento di terre e risorse naturali, ma anche di “rimettere al centro la tutela e la gestione pubblica e partecipativa dell’acqua che dovrà focalizzarsi sulla riduzione dei consumi idrici e la ristrutturazione delle reti senza ricorso alle grandi opere”.

Lavoro ed energia – Le organizzazioni chiedono dei piani per la giusta transizione che orientino le politiche industriali, fiscali ed economiche per la transizione ecologica, la creazione diretta e il sostegno per la creazione di nuovi posti di lavoro sostenibili. Poi una “legge contro le delocalizzazioni” per disincentivare “la chiusura di unità produttive con lo spostamento di investimenti in Paesi con tutele ambientali inadeguate”. Nelle proposte l’uscita dell’Italia dalle fonti fossili (a partire dal phase out del carbone entro il 2025) che, per rispettare gli obiettivi al 2030, dovrebbe realizzarsi accelerando la transizione a un modello energetico “basato su efficienza energetica e fonti rinnovabili, senza la realizzazione di nuove centrali a gas, indirizzando in questa direzione investimenti strutturali e incentivi”. Si chiedono investimenti su accumuli di piccola e grande scala e di ricorda che l’idrogeno “che deve essere esclusivamente verde, può essere una soluzione ottimale nei settori difficili da decarbonizzare, ma non è la soluzione per tutti i problemi energetici e climatici”. Il superbonus deve essere prolungato e rimodulato in modo che sia più semplice per le famiglie in difficoltà accedere all’incentivo più generoso al mondo: “Impensabile parlare di transizione energetica lasciando indietro i milioni di famiglie che oggi vivono in condizioni di precarietà economica e sociale”.

Economia e finanza – Nel documento si chiede l’introduzione di una carbon tax globale e meccanismi efficaci di aggiustamento alle frontiere e una tassa sulle transazioni finanziarie “con un piccolo prelievo su un’ampia base imponibile, che trasferisca il denaro dalla speculazione finanziaria a progetti di mitigazione e di adattamento”, ma anche “una leva fiscale che spinga le imprese ad operare una transizione nell’ottica di azzerare le emissioni di CO2”. Come confermato dall’ultimo rapporto annuale Banking on Climate Chaos, 60 grandi banche internazionali hanno concesso alle compagnie che, a vario titolo, sfruttano le fonti fossili qualcosa come 3.800 miliardi di dollari, nel periodo 2016-2020 (quindi dopo l’Accordo di Parigi del 2015). Per la rete, le banche centrali potrebbero incidere fortemente in occasione delle manovre di quantitative easing (mediante le quali si ‘crea moneta’ con l’acquisto di titoli di Stato o altre obbligazioni), superando il principio di “non ingerenza sui mercati”. “Questo perché – chiariscono le organizzazioni – i mercati hanno dimostrato di non essere in grado di auto-regolarsi, né in termini di limitazione delle attività speculative, né tantomeno in riferimento alla necessità di orientare i flussi di denaro verso attività a basso impatto climatico”.

Saperi, città, territori e comunità – Sul fronte dell’istruzione, le proposte puntano all’edilizia scolastica e universitaria, ma anche a tenere fuori le aziende inquinanti e l’industria del fossile da scuole e atenei. Una città multicentrica con una rete di trasporto pubblico che colleghi ogni sua parte (urbana e extraurbana) in modo efficiente, a cui affiancare una rete che agevoli gli spostamenti in bici o a piedi, l’arresto del consumo di suolo e zero emissioni sul fronte auto sono tra i punti che riguardano le città. Mentre le comunità, spiegano le associazioni, “siano coinvolte nei processi decisionali atti a promuovere il risanamento e la riqualificazione del patrimonio territoriale, naturale ed edificato e la della produzione agro-rurale”.

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