Televisione

Grande Fratello Vip, Jo Squillo si racconta a FQMagazine: si commuove fino a riattaccare il telefono, poi richiama

"Sono stata una punk, un’ambientalista, sono stata musicalmente fluida prima del tempo, ho cercato di portare un atto di riflessione con la mia musica. E sono e sarò sempre orgogliosamente femminista e come tale oggi lotto per l’abbattimento degli stereotipo della femminilità imposti dal patriarcato, l’omologazione dei corpi": Jo Squillo si racconta FQMagazine prima del suo ingresso nella Casa: ritratto inedito e intimo

di Francesco Canino

Scusi Jo Squillo, ma lei non era una punk anarchica?
Certo. E dopo quarant’anni di carriera continuo ad esserlo.

E perché va al Grande Fratello Vip, che per i detrattori è tutto tranne che un programma di rottura?
Le pare che ci siano altri spazi per noi artisti che non lavoriamo da un anno e mezzo? Siamo stati dimenticati da tutti. Io faccio la cantante, faccio spettacoli nelle discoteche, un comparto distrutto. E poi basta con questi cliché sui reality: essere artista significa provare a realizzare degli atti di riflessione anche in un contesto diverso da noi.

E lei pensa di riuscirci?
Ci voglio provare fin da subito.

In che modo?
Vorrei entrare al Grande Fratello indossando un burqa, simbolo di oppressione delle donne. La mia non sarebbe una provocazione ma gesto forte per esprimere solidarietà alle donne di Kabul e alle nostre sorelle afghane. Oltre che un atto di libertà per rivendicare la libertà di tutte noi.

Jo Squillo è una «mina vagante», donna incontenibile e irrequieta, sempre alla ricerca di un nuovo progetto e di una nuova meta. Jo Squillo è il brand di sé stessa: vent’anni di musica, venti nella moda, in mezzo la tv, i social, progetti imprenditoriali e l’impegno con una onlus che si batte per le donne. Tutto il suo bagaglio lo porta ora al Grande Fratello Vip 6, il reality di Canale 5 prodotto da Endemol Shine Italia, dove farà il suo ingresso nella seconda puntata, quella di venerdì 17. «Vorrei che il pubblico conoscesse il mio lato più fragile, quello che non mostro mai per pudore», racconta a FQ Magazine a poche ore dalla diretta.

Sembra una col sorriso patinato, sempre adrenalinica. Quando concede alla fragilità di venire fuori?
Viene fuori nel punto massimo di lontananza dai riflettori. Il mio apparente rigore granitico serve a proteggermi dal voyerismo dell’oggi. Non ho mai voluto deviare dalla mia missione di portare sorrisi e provocazione al pubblico. Per questo non mostro mai nemmeno la mia sensibilità.

C’è altro che il pubblico scoprirà di lei?
Sì, che sono «diversamente mamma»: anche se non ho fatto figli, tre anni fa ho incontrato una figlia. Questo, se capiterà, lo racconterò al Gf.

Al Grande Fratello si va anche per i soldi?
Per me essere un’artista non significa fare soldi o avere successo. Significa essere un’attivista, puntare le luci su ciò che merita, su un tema che mi sta a cuore. E lo farò anche nel reality per provare a cambiare qualche cattiva abitudine della nostra società.

Ad esempio?
Non voglio insegnare nulla a nessuno, al massimo far riflettere. Per esempio, vorrei che le ragazze di oggi capissero i danni della superficialità: si può essere leggeri ma non vacui. E poi vorrei parlare di veganesimo.

Lo sa che il cibo nei reality è sempre un oggetto di scontro?
Ho fatto Isola e Fattoria, lo so bene. Ma discutere del consumo della carne non significa fare proselitismo: io sono vegana e c’è voluto un lungo percorso per arrivarci.

Le liti la spaventano?
Lanciavo tampax macchiati di rosso dal palco, negli anni ’80, per rompere il tabù della violenza contro le donne. Mi tingevo di capelli di verde per parlare di ecologica, si figuri se il confronto mi spaventa: i percorso minati mi sono sempre piaciuti.

A proposito di violenza contro le donne, lei scrisse la canzone Violentami sul metrò: «Violentami violentami piccolo/violentami violentami sul metrò»
Era una canzone potente, un ribaltamento culturale: le donne non ci stavano ma non volevano essere considerate solo in quanto vittime. Gianna Nannini mi disse: «Hai scritto la canzone per eccellenza contro la violenza sulle donne».

Che oggi probabilmente verrebbe stroncata dal politicamente corretto.
Molta gente non ha capito la provocazione allora, figuriamoci oggi. In più il politicamente corretto non ha cambiato nulla, la politica nemmeno. Mentre tutti chiacchierano del nulla, siamo ancora qui a parlare di femminicidi – sette solo negli ultimi giorni – e viviamo in una società sempre più brutalizzante.

Lei si dichiara orgogliosamente femminista. Cosa significa oggi essere femministe?
Sono stata una punk, un’ambientalista, sono stata musicalmente fluida prima del tempo, ho cercato di portare un atto di riflessione con la mia musica. E sono e sarò sempre orgogliosamente femminista e come tale oggi lotto per l’abbattimento degli stereotipo della femminilità imposti dal patriarcato, l’omologazione dei corpi.

I corpi, l’estetica sono centrali nei reality
Il reality riflette il mondo esterno. Il corpo ha un linguaggio erotico potente ma la società tossica esaspera tutto. Io pratico il topless da quando ho 15 anni, sono per il nudismo ma la malizia e la perversione stanno negli occhi di chi guarda. Il problema poi è la ricerca di una perfezione che non esiste. Lo diceva Dalì: «Non aver paura della perfezione: non la raggiungerai mai». Le persone vanno in crisi perché l’aspetto digitale e quello reale non coincidono.

Avrà parecchio di cui discutere con Francesca Cipriani, dunque.
Lei fa la showgirl, è quasi un personaggio vivente e se Fellini fosse vivo, oggi la cercherebbe per un suo film. Se nessuno le racconta che c’è un percorso alternativo a quello della chirurgia, resterà sempre ferma dov’è. Io non mi sono rifatta mai, anche quando un cantante famoso in radio disse: «Ah sì, la Squillo, quella nasona». Mi sono accettata così come sono e Oliviero Toscani mi disse: «Se ti rifai, non ti parlo più».

La storia di quale degli altri concorrenti la intriga di più?
Tutti abbiamo storie forti, sennò Alfonso Signorini ci avrebbe scelti. Il problema è elaborarle queste storie, capirle, entrare nel profondo. Io vorrei farlo con Manuel Bortuzzo: m’interessa capire l’elaborazione del suo percorso. La disabilità è un tema che conoscono bene grazie alle mie amiche Giusy Versace e Antonietta Laterza.

Nella sua di storia c’è anche la morte dei suoi genitori: nel giro di un mese ha perso entrambi.
(silenzio) A distanza di due anni faccio fatica a parlare, è un percorso complicato, durissimo da metabolizzare.

Le va di dirmi che genitori sono stati?
(chiudiamo la conversazione e richiama dopo diversi minuti) Non ho metabolizzato proprio niente. Non c’è un’età in cui comunque non si rimanga orfani. Io e mia sorella Paola abbiamo avuto due genitori specialissimi. Mio padre aveva una doppia vita: era dirigente in una ditta di elettrodomestici, ma anche un inventore e un creativo, un vero artista. Si costruiva le pipe da solo e suonava tutti gli strumenti. Mamma ha cresciuto due figlie gemelle dunque ha vissuto doppi dolori e gioie doppie: dopo la nostra adolescenza si è reinventata, ha iniziato a lavorare ed è stata la prima rappresentante donna nei campo dei filati.

Cos’ha ereditato da loro?
La creatività e la voglia di battermi per un mondo più giusto. Da sette anni lo faccio con la mia onlus Wall of Dolls, con la quale aiuto le donne vittime di violenza, che purtroppo fanno fatica a denunciare o vengono abbandonate dalle istituzioni. Le aiutiamo in modo pratico, perché spesso non hanno nemmeno i soldi per l’affitto. Lo Stato non deve lasciare sole.

Lei ha mai subito tentativi di violenza
Mi sono scelta come nome d’arte Jo Squillo: quando si avvicinano, si spaventano. Però ho diversi stalker che mi perseguitano da anni: uno mi manda via mail le foto del suo pene, l’altro da più di dieci anni mi perseguita al telefono. È un feticista dei piedi. Ho cercato di denunciare ma mi dicono che non possono fare nulla.

Cambiando argomento. Jo in the house è stato un successo clamoroso in pandemia. Ma i suoi vicini di casa non si sono infastiditi per i dj set in terrazzo?
(ride) A un certo punto ho sentito un urlo e ho detto: «Ci siamo, ora chiamano la polizia». Dopo tre minuti, un altro urlo: «Alza il volume». Qualcuno mi ha citofonato e si è lamentato ma quasi tutti hanno capito che il mio intento era quello di far evadere la gente costretta in casa dalla pandemia.

Da vent’anni lei è la direttrice creativa e il volto di Tv Moda. Pensa di aver cambiato il modo di raccontare il fashion?
Mi criticano ma io penso di esserci riuscita. Ho portato il telespettatore dove non era mai andato, nel backstage delle sfilate, ho scardinato l’idea di moda elitario. Le prime volte mi mettevo per terra davanti alla passerella e mi guardavano come una matta tanto che un importante direttore una volta mi buttò un cuscino, pensando di umiliarmi: io me lo misi sotto il sedere continuai a lavorare.

Altri episodi sgradevoli?
La prima volta ad una sfilata di Giorgio Armani non mi fecero entrare, ero l’unica ad essere rimasta fuori. Tutta mesta vado in bagno e incontro Armani che si lavava le mani: «Cosa ci fai qui? Sono pazzi, devi entrare». È stata la mia rivincita.

Oggi si sente più considerata?
Mi chiamano la lady della moda. Tom Ford, si inginocchiò davanti a me. Karl Lagerfeld mi chiamava Miss Italia. Ho rapporto meravigliosi con molti, ma non voglio vantarmi. I veri artisti della moda hanno riconosciuto in me qualcosa di diverso, mi sono guadagnata sul campo il rispetto.

È vero che è sposata in segreto con tale Gianni Muciaccia?
(ride) Non sono sposata. Mi reputo una donna felice, libera ma sempre follemente innamorata.

Quando le chiedono: «Cantaci Siamo donne» pensa: «oddio che incubo» o «grazie così incasso i diritti?
Dico grazie ma non per i diritti, dai quali si guadagna poco. Quella canzone è entrata nella storia dell’emancipazione femminile, ha dato voce a chi non la aveva. Racconta la diversità e la sorellanza al di là dell’estetica.

È vero che conobbe Madonna agli inizi della carriera e condivise con lei il camerino alle Rotonde di Garlasco
Sì e tutti dicevo: «Ma dove vuole andare questa che si fa chiamare Madonna, non sa cantare e ballare». Pensai: «Dove voglio andare io che mi faccio chiamare Jo Squillo?». Ricordo solo che mi chiese dove compravo i vestiti: lei all’epoca era una ragazza grezza, il suo stile lo cambiò anche grazie all’incontro con quel genio di Elio Fiorucci.

L’ha incontrata altre volte?
Sì, ma non credo si ricordi di me. E la capisco. Una volta, a Parigi, diedi un passaggio in hotel con il mio van ad un’attrice. Un anno dopo la incontriamo di nuovo, lei mi viene incontro e mi urla: «Ciao Jo, how are you?». Io mi giro verso le mie collaboratrici e dico: «Ma chi è, non me la ricordo?». Era Jessica Alba.

Lei ha detto: «So annaffiare i sogni ma anche piantare i semi». Il prossimo seme da piantare?
Uscire dal Grande Fratello e tornare a Sanremo. Voglio presentare un brano ad Amadeus per il prossimo Festival.

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