I primi a ricevere la terza dose saranno trapiantati e immunodepressi, mentre gli altri target vanno ancora definiti. È quanto prevede la circolare del ministero della Salute, messa a punto per organizzare il secondo richiamo del vaccino anti-Covid. La dose ‘addizionale’, specificano le istituzioni sanitarie, va somministrata ad almeno 28 giorni dalla precedente e – si conferma – sarà di vaccini a mRna. Le dieci categorie di pazienti che riceveranno subito la terza dose sono trapiantati di organo solido in terapia immunosoppressiva; trapianto di cellule staminali ematopoietiche; attesa di trapianto d’organo; terapie a base di cellule T; patologia oncologica; immunodeficienze primitive; immunodeficienze secondarie; dialisi e insufficienza renale cronica grave; pregressa splenectomia; Aids.

Per dose addizionale si intende una dose aggiuntiva a completamento del ciclo vaccinale primario, così da raggiungere un adeguato livello di risposta immunitaria. La dose ‘booster’, diversamente da quella addizionale, verrà somministrata dopo 6 mesi definendo la strategia in favore di ulteriori gruppi tra cui fragili e a maggiore rischio per esposizione professionale. Per quest’ultimo tipo di richiamo, quindi, al momento non sono previste novità.

Il testo, firmato dal direttore generale Prevenzione Giovanni Rezza, ribadisce che “al momento, in base alle indicazioni del Cts, si considera prioritaria la somministrazione della dose addizionale nei soggetti trapiantati e immunocompromessi” e rimanda le ‘booster’, sottolineando la “priorità del raggiungimento di un’elevata copertura vaccinale con il completamento dei cicli attualmente autorizzati”.

Sulle ‘booster’ è possibile che il ministero decida una linea nei prossimi mesi, probabilmente prima della fine dell’anno. Si dovrebbe trattare di over 80 e operatori sanitari, tra i primi a ricevere il vaccino nel gennaio-febbraio 2020. Proprio in questi giorni alcuni sindacati di infermieri e medici hanno sollecitato una risposta, evidenziando come i dati dell’Iss sul contagio tra gli operatori sanitari abbiano evidenziato un boom di nuovi casi nella popolazione che lavora negli ospedali, probabilmente ‘spia’ di un’immunità che inizia a scemare a distanza di 8-9 mesi dalla vaccinazione.

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