Si è assunto ma quasi solo a tempo determinato. È quanto emerge dalle ultime rilevazioni dell’Istat sul mercato del lavoro relative al secondo trimestre del 2021. Il dato si ferma quindi allo scorso giugno quando era ancora pienamente in vigore il blocco dei licenziamenti, tolto parzialmente a partire da luglio. Nel periodo aprile-giugno gli occupati sono aumentati di 523mila unità rispetto allo stesso periodo del 2020, caratterizzato però dalla chiusura di molte attività a causa della pandemia. Si tratta esclusivamente di impieghi a termine (+ 573mila) mentre i contratti a tempo indeterminato sono diminuiti di 29mila). Sempre rispetto al secondo trimestre del 2020 crescono i disoccupati (+514mila), mentre si riducono molto gli inattivi, ossia chi non lavora e non cerca un impiego pur essendo in età lavorativa, che diminuiscono di un milione 253 mila. I dati dell’Istat risentono anche delle nuove regole sulla classificazione che considerano disoccupate persone in cassa integrazione da oltre tre mesi.

La tendenza è la stessa anche paragonando i numeri del secondo trimestre con quelli del primo. Gli occupati sono 338mila in più ma in 226mila casi si stratta di contratti a termine, 80mila sono a tempo indeterminato e altri 33mila sono lavoratori autonomi. Il tasso di occupazione, ossia la quota di popolazione in età lavorativa che ha un impiego, raggiunge il 58% (un punto percentuale in più sul primo trimestre ). L’occupazione rimane tuttavia ancora inferiore ai livelli pre-pandemia, con 678 mila occupati in meno rispetto al secondo trimestre 2019 .

Rispetto al primo trimestre dell’anno si osserva un calo sia del numero di disoccupati (-55.000, -2,2%) sia di quello degli inattivi di 15-64 anni (-337 mila, -2,4%). I dati mensili provvisori di luglio 2021 mostrano un arresto del trend in crescita registrato tra febbraio e giugno 2021, con un lieve calo dell’occupazione rispetto a giugno (-23 mila, -0,1%) che si associa a quello dei disoccupati (-29mila, -1,2%) e all’aumento degli inattivi di 15-64 anni (+28 mila, +0,2%). Nel secondo trimestre 2021, sottolinea l’Istat, l’input di lavoro, misurato dalle ore lavorate, registra un aumento del 3,9% rispetto al trimestre precedente e del 20,8% rispetto al secondo trimestre 2020; anche il Pil è aumentato, del 2,7% in termini congiunturali e del 17,3% in termini tendenziali.

Il costo del lavoro, per unità di lavoro, cresce dello 0,6% nel confronto con il periodo gennaio-marzo 2021, con un aumento più sostenuto delle retribuzioni (+0,7%) e di minor intensità degli oneri sociali (+0,3%), quale effetto del persistere delle misure di sostegno all’occupazione attuate attraverso gli sgravi contributivi. Su base annua si rileva, invece, un calo del costo del lavoro del 3,1%. A diminuire sono entrambe le componenti: le retribuzioni scendono del 2,3% rispetto al secondo trimestre 2020, quale effetto di riflesso della crescita straordinaria registrata tra aprile e giugno 2020, quando la ricomposizione dell’occupazione provocata dai provvedimenti di sospensione delle attività economiche aveva privilegiato la presenza delle componenti a profilo retributivo più alto; parallelamente, la riduzione più intensa degli oneri sociali (-5,4%) è conseguenza, da un lato, della riduzione della componente retributiva e, dall’altro, del persistere degli effetti delle misure di decontribuzione.

Si conferma la crescita occupazionale più marcata per i 15-34enni con un tasso di occupazione che raggiunge il 40,6%, in crescita di 2,8 punti a fronte dell’aumento per i 15-64 anni di 1,7 punti. In confronto al periodo precedente l’inizio della pandemia, nel Nord il livello di occupazione è ancora inferiore di 336 mila unità (-2,7% rispetto al secondo trimestre 2019), nel Centro di 162 mila (-3,2%) e nel Mezzogiorno di 180 mila (-2,9%). In termini di tasso, tuttavia, per effetto della diversa dinamica della popolazione residente in età lavorativa nelle tre ripartizioni, è la condizione del Mezzogiorno ad apparire migliore, registrando il calo più contenuto nel 2020 e la crescita più marcata nel secondo 2021: il livello dell’indicatore, 44,8%, è di 0,5 punti inferiore a quello del secondo trimestre 2019, a fronte di una distanza di 1,7 punti nel Nord (dove è comunque al 66,5%) e di 1,5 punti nel Centro (62,5%).

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