La principessa che non volle diventare regina. Una fiaba al contrario, che capovolge il paradigma della felicità ma non la nega, almeno sulla base dell’immaginazione. Questo è il cuore di Spencer di Pablo Larraìn in concorso oggi a Venezia 78, “una favola tratta da una vera tragedia” concentrata su una delle principale icone tragiche della Storia contemporanea. E tuttavia quella interpretata da una strepitosa Kristen Stewart, già icona di-per-sé per la forza delle immagini da mesi divulgate nei panni della sfortunata principessa, non è una Lady Diana “da biopic”, bensì è il racconto reale e immaginario di un’anima sopraffatta nel corpo, nella psiche e nello spirito concentrato nel gelido weekend natalizio del 1992, quando – da vera biografia – scelse di lasciare Carlo, liberandosi dunque dalla gabbia dorata in cui si sentiva rinchiusa da oltre un decennio.

La giovane donna, sposa sfortunata e madre affettuosa stava suo malgrado distruggendo l’utopia, spezzando un immaginario collettivo popolare che dava nutrimento a casalinghe e al furore mediatico. “Ho fatto un film che potesse capire anche mia madre” scherza il cineasta cileno, al suo terzo racconto consecutivo al femminile dopo Jackie ed Ema. Ma chi pensa di trovarsi di fronte al piacere affabulatorio del racconto classico parte già col piede sbagliato: questo è un’opera coerente alla poetica ed estetica di uno degli autori più estremi e attenti alla forma cinematografica della contemporaneità. Dal suo obiettivo non poteva che uscire un racconto denudato dalle sovrastrutture ambientali: Larraìn, partendo dalla sceneggiatura di Stephen Knight, cambia di segno alla corposa iconografia su Diana e la Royal Family e offre una potente narrazione visiva delle tensioni intime della protagonista, colta come oggetto e soggetto di una crisi psico-fisica radicale, un corpo segnato dalla sofferenza e una mente tormentata dai fantasmi.

“Sono una calamita per la pazzia” dice di sé Diana, in preda alla scissione tra la finzione e la realtà come da statuto imposto da Sua Maestà. Il muro che separa il vero dal falso, così come il finto dal reale, è sottile ma tagliente come il filo spinato che è costretta ad affrontare Diana per tornare a guardarsi dentro, penetrando nottetempo la dimora Spencer limitrofa alla residenza di campagna dei Royals: troverà la sua infanzia felice ma anche i suoi fantasmi ma anche quelli della sanguinaria Storia britannica, donne abusate e uccise come i fagiani di real cacciagione.

Film teso, complesso e sostanzialmente “larrainiano”, Spencer travalica i tormenti di Lady D. per penetrare l’intimità universale di chi si sente prigioniero di un paradosso, e così facendo si propone anche quale racconto sul doppio, sulle opposizioni e sul congelamento del tempo, laddove presente e passato si sovrappongono a combattere la speranza di un futuro. Sfidando le nevrosi di un personaggio unico nel suo genere, la Stewart veicola mistero, magnetismo e fragilità con una performance meravigliosamente funambolica, perfettamente intonata alle inquiete note di Jonny Greenwood che ha firmato il commento musicale.

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