Nuova sospensione dal servizio per la direttrice del carcere di Taranto Stefania Baldassari. Dopo il primo provvedimento emesso dal Dap a luglio scorso, il capo del Dipartimento Bernardo Petralia ha firmato un nuovo decreto nei confronti della donna che aggrava le accuse mosse dalla Direzione distrettuale Antimafia di Lecce. Nella prima relazione inviata al Dap qualche mese fa, infatti, Baldassari era stata accusata di aver incontrato in almeno due occasioni i familiari di Michele Cicala, il boss arrestato ad aprile perché ritenuto dalla Dda di Lecce il capo di un clan mafioso in contatto con gruppi campani e lucani: in quelle “visite” al bar, gestito dai parenti del presunto boss, la direttrice Baldassari avrebbe riportato informazioni ai familiari e li avrebbe invitati a chiamare l’uomo ristretto in carcere.

L’inchiesta guidata dal pm Milto De Nozza, però, non si è fermata. Il 24 agosto scorso, infatti, il pubblico ministero ha ascoltato come persona informata sui fatti un’avvocatessa, in passato vicina al boss Cicala, che avrebbe raccontato agli inquirenti dettagli sui rapporti passati tra il detenuto e la ormai ex direttrice della struttura carceraria. In particolare le rivelazioni riguardano l’appoggio elettorale fornito dal gruppo vicino a Cicala alla stessa Baldassari che nel 2017 è stata candidata sindaco di Taranto in una coalizione composta da liste civiche e partiti di centrodestra.

Secondo quanto si legge negli atti visionati da ilfattoquotidiano.it, la Baldassari nei mesi di campagna elettorale avrebbe chiesto un sostegno ad avvocati che avrebbero così invitato i propri clienti a votare per la Baldassari. E tra questi ci sarebbe stato anche Michele Cicala, all’epoca tornato libero dopo aver scontato una lunga detenzione. Lui e il suo entourage avrebbero dato una mano alla raccolta dei consensi verso la lista civica della Baldassari “riuscendo ad ottenere un consenso elettorale non indifferente”. La direttrice ora sospesa, in quella competizione amministrativa, arrivò infatti al ballottaggio, ma fu sconfitta da Rinaldo Melucci, candidato sostenuto dal centrosinistra: da allora la Baldassari ha ricoperto e ancora ricopre il ruolo di consigliera comunale d’opposizione sebbene negli ultimi periodi ci sarebbe stato un avvicinamento alla maggioranza.

Nelle dichiarazioni raccolte dalla Dda, in particolare, si parla anche di “un meeting elettorale organizzato presso la pizzeria ‘Da Mammina’ del detenuto Cicala” che si sarebbe “massivamente” impegnato in favore di Baldassarri “invitando i suoi amici a procacciare quanti più voti possibili”. Ma non solo. La direttrice del carcere ionico avrebbe offerto all’avvocatessa – candidata alle ultime Regionali in Puglia – di farla parlare con un esponente di spicco della criminalità tarantina da poco scarcerato e che, avrebbe detto la Baldassari, aveva un “debito di riconoscenza” e quindi “se richiesto, non si sarebbe rifiutato nel sostenere la campagna elettorale”.

Ma c’è di più. L’avvocatessa ha spiegato ai magistrati che la direttrice del carcere ionico “da sempre modula differentemente il trattamento penitenziario nei confronti dei detenuti, in special modo di quelli definitivi, in ragione della loro capacità di procacciare voti in occasione di possibili consultazioni elettorali”. Insomma – secondo l’accusatrice – le visite al bar della famiglia Cicala “vanno lette non solo nell’ottica di una riconoscenza per quanto fatto dal Cicala in occasione delle consultazioni del 2017 ma altresì in funzione di un possibile coinvolgimento del predetto per future tornate elettorali”.

Per il Dap, la condotta della Baldassari è “un modus operandi assolutamente contrario ai principi basilari del buon andamento, imparzialità e trasparenza dell’attività amministrativa, in completa violazione degli obblighi istituzionali di rispetto delle leggi, anche in considerazione del peculiare contesto lavorativo penitenziario che impone un atteggiamento improntato al massimo rigore e non ammette quindi violazione di doveri che arrechino grave pregiudizio alle istituzioni”.

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