Tutto sommato fu abbastanza semplice. Nulla aizza le folle più di un’immagine e quella… beh, quella era perfetta. La scattò Richard Drew l’11 settembre. Inutile specificare l’anno e il luogo. C’è un tizio, un simbolo, in picchiata dal 106esimo piano della Torre Nord. Nessuno è mai riuscito a dire se fu un suicidio, l’atto volontario di chi muore nel vuoto piuttosto che nel fuoco, o un tentativo disperato e tragico di calarsi qualche piano più sotto. E nessuno ha mai saputo dare un nome a quel tizio.

Quel giorno a decine vennero visti piovere giù dai due grattacieli: recuperare i corpi, dopo il crollo, fu impossibile. Così lo chiamarono “l’uomo che cade” anche se non fu un uomo a cadere: precipitò l’umanità tutta, ferita da due aerei e straziata dalle immagini. Paura, pietà, indignazione e rabbia si susseguirono in quest’ordine ma prendendosi spazi e volumi diversi. La paura durò come un tuono, giusto il tempo per incupire i popoli appesi alle tv; poi fu la pietà a inondare gli occhi, ad allagare i talk show e i salotti come risaie. Indignazione e rabbia germogliarono presto.

Bisognava rispondere, bisognava reagire. E non, mai, per vendetta. Bisognava reagire perché non accadesse più. Il mondo che ben pensa fu d’accordo: mai più. Per vent’anni dollari, petrolio, città, civili, scuole, armi, villaggi, culture, ospedali, kamikaze, soldati, donne sono andati in fumo perché mai più accadesse che degli esseri umani precipitassero nel vuoto per colpa di un paio di aerei. Chi li guidava era cattivo, chi cadeva buono: tutto sommato, fu abbastanza semplice giustificare una guerra così. Un’invasione.

Ricordo che vent’anni fa, a me che ero un figlio, quella spiegazione convinse. Adesso, però, che è la mia generazione a dover spiegare, è un cazzo di casino. Perché vedi, figlio mio, stavolta a guidare gli aerei ci siamo noi, che siamo sempre e comunque i buoni, e a cadere giù sulla pista di Kabul ci sono gli altri, che non sono cattivi eh, ma sono comunque stranieri, e quindi un po’ di colpa ce l’hanno. Non possiamo mica occuparci noi anche di loro! Il presidente Joe Biden l’ha detto chiaramente, senza pudore, che non possiamo morire noi per loro.

Noi siamo noi e loro sono loro: la senti la distinzione come è netta? E poi “la nostra missione in Afghanistan non è mai stata pensata per costruire una nazione”: siamo andanti lì il tempo che ci serviva – ok forse qualche annetto in più –, abbiamo esportato democrazia e importato il resto. Ora che del resto non è rimasto molto, la nazione che se la facciano loro. A noi, semmai, interessa solo che non vengano qui “a invaderci”: i profughi bisognerà aiutarli a casa loro. Come d’altronde abbiamo fatto negli ultimi vent’anni e adesso non faremo più.

Ok lo so, figlio mio, che è un discorso difficile da capire ma vedi, quando dicevamo “mai più” intendevamo “mai più qui”: capisci adesso? A Kabul, invece, “l’uomo che cade” può continuare a volare giù. Lì non è mica l’umanità a precipitare, lì è soltanto un tizio.

TRUMP POWER

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