Sono passati vent’anni dai pestaggi e dalle sevizie inflitti nel luglio del 2001 a tanti giovani (e meno giovani), durante il G8 genovese, da parte di membri delle forze di polizia. In occasione dell’anniversario, salta fuori che nel carcere di Santa Maria Capua Vetere i detenuti inermi sono stati massacrati in modo altrettanto selvaggio e ingiustificato da decine di agenti della Polizia penitenziaria, come testimoniano in modo inconfutabile foto e video; a quanto pare, con il tifo e l’aiuto concreto di funzionari di alto livello dell’amministrazione penitenziaria.

Evidentemente un ventennio è trascorso all’insegna dell’inciviltà, dell’omertà e della prepotenza. Questi ultimi sono atteggiamenti cui non è stato posto rimedio, nonostante le numerose avvisaglie, sradicando alla base l’aggressività e la sensazione di impunità. Perché non esiste soltanto la responsabilità penale personale dei protagonisti dei pestaggi (a Genova rimasti per lo più sconosciuti e/o impuniti, a Santa Maria finiti per ora in custodia cautelare). Esiste quella di un apparato che evidentemente “educa” alla sopraffazione racchiusa in una divisa.

Le pervasività del sistema segnala che non basta prendersela soltanto, sebbene sia giusto farlo, con i massacratori di turno. È un problema che si affronta alla base: riformando i “formatori” e rimuovendo i fan di metodi da regime dittatoriale. Appare evidente che costoro stanno ancora comodamente nelle stanze dei bottoni delle varie caserme e dei ministeri e incoraggiano l’esercizio di quella barbarie. Infatti non è credibile che un battaglione di agenti sia impazzito; semmai era pressoché certo di poter seminare il terrore senza rischiare nulla, dopo aver ricevuto ordini e rassicurazioni.

Cosicché non è possibile limitarsi a stigmatizzare una presunta eccezione, quando ormai è palese che in certi giri – tutt’altro che piccoli e marginali – quel metodo è la regola: si va dalla repressione di massa fino alla ferocia nei confronti della singola persona fermata o arrestata o semplicemente manganellata per strada.

Il problema si comincerà a risolvere se uomini e donne delle istituzioni avranno voglia e coraggio sufficienti per prendere atto di un fallimento, scegliendo poi di individuare chi rema consapevolmente contro il rispetto della Costituzione democratica e dei diritti umani basilari.

La presa di coscienza istituzionale è indispensabile affinché la reazione a questa ennesima bruttissima storia non sia solo di circostanza. Riuscire a fare di più significherebbe pure incoraggiare coloro che – nelle forze di polizia – sono rispettosi del loro ruolo; capirebbero che possono denunciare i fomentatori di odio e violenza, altrimenti inattaccabili e intoccabili. Insomma, non basta voltare pagina, per poi dimenticarla ancora una volta; quella pagina va proprio riscritta, di sana pianta.

Ps: sono incommentabili le posizioni di certi politici fascistoidi che solidarizzano con i carnefici: meriterebbero di provare a vestire i panni delle vittime.

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