L’Italia ha chiesto alla Germania, attraverso l’Agenzia delle Entrate, i dati dei cittadini italiani contenuti nei file acquistati da Berlino da una fonte anonima relativi a persone con patrimoni negli Emirati Arabi, in particolare a Dubai. La richiesta sarebbe già stata avanzata dall’Agenzia delle Entrate, dietro regia del Mef. Lo spiegano fonti di via XX Settembre. La notizia arriva nel giorno in cui la Guardia di Finanza ha reso noto che nel 2020 sono stati scoperti 3.500 evasori totali, con proposte di sequestro per 4,4 miliardi di euro.

La Germania ha acquistato i dati fiscali mercoledì scorso. La lista riguarda milioni di persone, tra cui migliaia di cittadini tedeschi con patrimoni negli Emirati Arabi. I dati serviranno a Berlino per valutare eventuali ipotesi di evasione fiscale. “Usiamo tutti i mezzi per scoprire i reati fiscali”, ha dichiarato il ministro delle Finanze, il socialdemocratico Olaf Scholz, in corsa per la cancelleria. “Per mia iniziativa l’ufficio federale per le imposte si è procurato un Cd con dati fiscalmente rilevanti dall’emirato di Dubai”, aveva detto Scholz al Bundestag lunedì scorso aggiungendo che “L’evasione fiscale non è un’infrazione minore ma un crimine“. L’ufficio federale per le imposte ha pagato circa 2 milioni di euro il Cd contenente dati segreti – ha riferito il quotidiano Der Spiegel – che verranno passati ai Laender per procedere alle verifiche caso per caso. La cifra non è stata confermata dal governo. E’ la prima volta che il ministro Scholz permette all’ufficio federale per le imposte di procedere all’acquisto di informazioni segreti. Il ministro ha fatto della lotta all’evasione uno dei punti chiave della sua campagna elettorale per la corsa al cancellierato.

Con l’acqusizione deidati dei cittadini italiani potrebbero aprirsi contenziosi in merito alla loro utilizzabilità visto il modo in cui sono stati in origine reperiti. Questioni di tal genere si erano poste in più circostanze relativamente alla lista Falciani, relativi a conti e attività detenuti presso la filiale della banca HSBC di Ginevra, prima ottenuti dalla Francia e poi utilizzati anche dalle autorità italiane. La modalità di ottenimento dei dati ne pregiudica l’impiego ai fini penali ma, secondo quanto ha deciso la Corte di cassazione il 28 novembre 2019, non necessariamente per quanto concerne l’uso a fini fiscali.

Il principio generale a cui fa riferimento la Cassazione nella sua pronuncia è che “salvo i casi di violazione dei diritti fondamentali di rango costituzionale, l’acquisizione in via irrituale di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale non sono automaticamente inutilizzabili nelle ordinarie attività di contrasto e accertamento all’evasione fiscale. Oltretutto il nostro ordinamento tributario, se da un lato esclude in maniera esplicita l’utilizzabilità di specifici elementi (ad esempio l’inammissibilità nel processo tributario del giuramento e della prova testimoniale ai sensi dell’articolo 7 del Dlgs. 546/1992), dall’altro non prevede una norma positiva che statuisca l’inutilizzabilità degli elementi indiziari così acquisiti, sempreché non si violini i diritti fondamentali costituzionalmente garantiti”. La Corte ha quindi ribadito che sono “perciò utilizzabili nell’accertamento e nel contenzioso con il contribuente, i dati bancari, ottenuti mediante gli strumenti di cooperazione comunitaria, dal dipendente di una banca residente all’estero, il quale li abbia acquisiti trasgredendo i doveri di fedeltà verso il datore di lavoro e di riservatezza, privi di copertura costituzionale e tutela legale nei confronti del fisco italiano.”

“Come Italia dobbiamo acquisire velocemente i dati degli italiani che hanno trasferito fondi in altri Paesi. In questo senso mi sono attivata con gli Uffici” ha detto il viceministro all’Economia Laura Castelli sottolineando che “c’è una dimensione estera su cui è necessario rafforzare tutte le azioni utili ad arginare il fenomeno dei paradisi fiscali”.

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