Dopo Roberto Formigoni tocca a tutti gli altri. Cioè gli ex senatori che avevano perso il vitalizio a causa di una condanna definitiva: grazie alla doppia sentenza favorevole ora potranno riavere l’assegno. Se non accade nulla, è solo questione di tempo. Le tre mozioni approvate dall’aula di Palazzo Madama sul tema, infatti, non modificano fino a questo momento in alcun modo la questione. La scorsa settimana il consiglio di Garanzia, presieduto dal berlusconiano Luigi Vitali, ha deciso di confermare la decisione presa dalla commissione Contenziosa e cioè ripristinare il bonifico mensile all’ex governatore della Lombardia. Dopo il deposito delle motivazioni, la presidenza del Senato dovrà prenderne atto e assicurarne l’esecutività: a quel punto partirà l’iter per restituire il vitalizio agli ex eletti pregiudicati. Tutti: pure a quelli condannati per reati di tipo mafioso o terrorismo. Ma andiamo con ordine.

Reddito di cittadinanza? No vitalizi – Contrariamente a quello che alcuni commentatori sostengono nelle vari trasmissioni televisive – compreso Maurizio Paniz, ex deputato che da avvocato assiste centinaia di ex parlamentari nella infinita disputa giuridica nata dal taglio dei vitalizi – il precedente Formigoni si applica in automatico a tutti gli altri condannati. Già dopo la decisione della commissione Contenziosa, presieduta da un altro berlusconiano come Giacomo Caliendo, era emerso che la restituzione dell’assegno non valesse solo per l’ex governatore della Lombardia, ma erga omnes, cioè nei confronti di tutti gli altri ex senatori nelle sue medesime condizioni. Questo perché l’effetto della sentenza è quello di cancellare con un rapido tratto di penna la delibera Grasso del 7 maggio del 2015: all’epoca il consiglio di presidenza del Senato (insieme a quello della Camera, guidato da Laura Boldrini) decise di cancellare il vitalizio a tutti i parlamentari condannati in via definitiva a pene superiori ai due anni di reclusione. Per motivare la cancellazione di quella delibera – e poter ridare così l’assegno a Formigoni – la commissione Contenziosa si è appellata alla legge che nel 2019 ha introdotto il reddito e la pensione di cittadinanza. Il contorto ragionamento dell’organo guidato da Caliendo è il seguente: la legge sul reddito e la pensione di cittadinanza sospende l’assegno solo a chi è stato condannato per reati di tipo mafioso o per terrorismo. Lo stop è previsto anche per chi ha condanne relative ad altri reati, seppur superiori a due anni di carcere, ma solo se sono latitanti. Dunque, la conclusione alla quale è approdata la Contenziosa è questa: visto che Formigoni non è né condannato per mafia e neanche per terrorismo (ma “solo” per tangenti) e non è latitante (sta ai domiciliari), è ingiusto sospendergli il vitalizio.

Gli effetti della decisione di Caliendo e Vitali – Sorvolando sulla discutibile comparazione tra una misura destinata ai meno abbienti e un ricco assegno erogato agli ex parlamentari, le motivazioni della Contenziosa hanno fatto nascere un malinteso: dopo il caso Formigoni, la legge sul reddito di cittadinanza si applica anche ai vitalizi. Con l’effetto che i condannati per reati gravi come appunto la mafia e il terrorismo – oppure i latitanti – rimarranno comunque senza assegno. Una conclusione che è falsa. Per due motivi. Intanto la norma sul reddito fa riferimento di una legge del 2012 che sospende ai soggetti condannati per associazione mafiosa (o per reati che hanno come fine quello di agevolare la mafia) le indennità di disoccupazione, assegno sociale, pensione sociale e pensione per gli invalidi civili. La stessa legge revoca “i trattamenti previdenziali erogati al condannato, nel caso in cui accerti, o sia stato già accertato, che questi abbiano origine, in tutto o in parte, da un rapporto di lavoro fittizio a copertura di attività illecite connesse a taluno dei reati di cui al primo periodo”. Il contributo che un senatore – per quanto pregiudicato – versa per avere il vitalizio non viene da un lavoro fittizio e neanche da attività illecite ma appunto dalla sua indennità da parlamentare: per questo motivo, anche a voler applicare a Palazzo Madama la legge sul reddito di cittadinanza, i condannati per reati di mafia potrebbero comunque ottenere l’assegno. Un problema che in ogni caso non si pone: al Senato, infatti, vige l’autodichia, cioè quella speciale facoltà di autogoverno di cui godono le Camere. Tra le altre cose vuol dire che una legge di rango ordinario, come è appunto quella sul reddito, non può essere applicata automaticamente dentro Palazzo Madama. Ecco perché l’unico effetto della decisione della commissione Contenziosa – confermata dal consiglio di Presidenza – è uno e uno solo: quello di cancellare tout court la delibera Grasso del 2015. Una norma che però continuerà a esistere alla Camera, visto che Montecitorio non ha recepito alcun ricorso degli ex deputati condannati.

Il caso Berlusconi e Dell’Utri – A Palazzo Madama, invece, quella regola che toglieva i vitalizi ai condannati non esiste più e gli assegni ai pregiudicati devono essere ripristinati. Significa che dopo il deposito delle motivazioni dell’organo presieduto da Vitali, il consiglio di presidenza darà il via libera all’amministrazione per i conteggi e l’effettivo ripristino a partire appunto dal bonifico del mese di maggio. Lo stesso Grasso intervenendo ieri in aula ha spiegato che “abolendo del tutto la delibera del 2015 si spalancano nuovamente le porte del vitalizio non solo ai senatori condannati per corruzione ma anche per mafia o terrorismo”. Proprio per questo motivo già nei giorni scorsi gli uffici amministrativi di Palazzo Madama si sono già attivati per sciogliere alcuni nodi preliminari. La delibera Grasso, infatti, prevedeva che in caso di sospensione del vitalizio agli ex senatori andava restituita la parte di contribuzione eccedente rispetto a quanto effettivamente incassato al momento della condanna e conseguente congelamento dell’assegno. È l’esempio di un senatore che ha versato 100mila euro come contributo pensionistico ma si è visto congelare l’assegno a causa di una condanna dopo aver incassato solo 20mila euro di vitalizio. Per evitare il rischio di vedersi accusare di appropriazione indebita, con la delibera Grasso Palazzo Madama aveva deciso di liquidare quella somma ai senatori condannati. È il caso di Silvio Berlusconi, riconosciuto colpevole di frode fiscale nel 2013, e Marcello Dell’Utri, condannato per concorso esterno a Cosa nostra l’anno dopo. Per tornare a percepire il vitalizio ogni mese i due fondatori di Forza Italia dovrebbero prima restituire quella parte di contributi che hanno incassato nel momento in cui Palazzo Madama gli ha cancellato l’assegno.

Chi prenderà di nuovo l’assegno – Tra gli ex senatori che possono beneficiare del caso Formigoni c’è poi Enzo Inzerillo, ex Dc condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, oppure Vittorio Cecchi Gori, l’ex proprietario della Fiorentina che fu eletto a Palazzo Madama per due legislature col Ppi (fino al 2001) e nel febbraio 2020 è stato condannato in via definitiva a 5 anni e mezzo per bancarotta. E poi l’ex rettore dell’università de L’Aquila, Ferdinando di Orio, eletto con l’Ulivo e riconosciuto colpevole di induzione indebita. Nella lista pure Franco Righetti, a Palazzo Madama con Ccd e Margherita fino al 2006. C’è poi un altro nodo preliminare che Palazzo Madama dovrà sciogliere: quello dei condannati che nel frattempo sono deceduti. Bisognerà capire se hanno diritto all’assegno, per esempio, gli eredi di Giorgio Moschetti, democristiano di fede androttiana, di Antonio Girfatti, portato in Parlamento con Forza Italia, del regista Pasquale Squitieri, che invece fu eletto con An, e di Giuseppe Ciarrapico, un mandato a Palazzo Madama col Pdl.

Cosa può fare il Senato adesso – Per la verità il Senato potrebbe ancora mettere una pezza al pasticcio dei vitalizi ai condannati. Per esempio dando seguito alla mozione presentata dai 5 stelle dal Pd e da Leu, che impegnava Palazzo Madama a mettere mano alla questione dei vitalizi per i condannati. Certo, invece di una mozione, i giallorossi avrebbero potuto presentare direttamente una legge per intervenire sulla questione. C’è poi tutta una questione giuridica che Casellati potrebbe sollevare. A spiegare quale è sempre l’ex presidente Grasso: “Ci sono i margini – diceva in un’intervista a Ilaria Proietti sul Fatto Quotidiano – affinché il Senato sollevi di fronte alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzione: l’invasione di campo di un organo giurisdizionale ha inflitto un vulnus al principio della separazione dei poteri”. L’annullamento della delibera Grasso da parte della commissione Contenziosa, infatti, è come se un qualsiasi tribunale cancellasse una legge ordinaria dello Stato. Per evitare ricorsi infiniti alla Consulta, poi, Casellati avrebbe inoltre un’altra opzione, molto più semplice: emanare una nuova delibera, di suo pugno, che riproponga gli stessi contenuti di quella del 2015. Ipotesi che appare al momento di difficile realizzazione.

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