Anche in carcere gradualmente ci si riavvia verso la normalità dopo il lungo periodo di inasprimento delle restrizioni per l’emergenza sanitaria. Si conclude in questi giorni la campagna delle vaccinazioni e in alcuni reparti sono riprese le lezioni in presenza; vedendo tornare gli insegnanti, i detenuti iscritti ai vari corsi scolastici (per ora solo quelli che nel prossimo mese dovranno sostenere gli esami di Stato) hanno scoperto una volta di più, come reazione alle privazioni, l’importanza della scuola come momento di crescita personale e occasione di contatto con l’esterno, con un mondo quasi sempre lontanissimo dal proprio precedente vissuto, che in tal modo può essere oggetto di una profonda e veramente efficace revisione critica.

Riprendono gradualmente anche le attività collaterali alla didattica, i progetti di ampliamento dell’offerta formativa come “Libertà e Sapere” con cui da un quindicennio cerchiamo di favorire i rapporti tra gli studenti detenuti e la società nelle sue espressioni più alte e importanti. L’occasione è venuta dall’iniziativa presa da Francesca Rocchi, Francesca Di Martino e altri insegnanti della sede centrale del nostro Istituto scolastico J. von Neumann diretto dalla D.S. Serafina Di Salvatore, che hanno organizzato una videoconferenza sul tema della legalità e della lotta alla criminalità organizzata (per la ricorrenza delle stragi di mafia).

Collegati via Internet, alcuni studenti delle classi quinte hanno potuto ascoltare il professor Sergio Moccia, emerito di Diritto penale all’Università degli studi di Napoli “Federico II”, e il colonnello Cesare Forte, della Direzione telematica del Comando generale della Guardia di Finanza. Non è stato possibile, alla fine, stabilire connessioni per coinvolgere anche gli studenti delle sezioni staccate all’interno dei vari settori del complesso Penitenziario di Rebibbia. Tuttavia, abbiamo potuto avvalerci della testimonianza di Francesco Rallo, nostro ex alunno condannato all’ergastolo per reati di mafia. Era in collegamento dagli uffici presso il ministero della Giustizia, dove oggi può beneficiare del lavoro esterno dopo quasi trent’anni di reclusione.

Uno degli aspetti che è apparso con maggiore evidenza nei vari interventi è che combattere la mafia sia un problema innanzitutto di natura culturale, mentre la sanzione penale arriva, quando arriva, solo in un ultimo momento. Cultura è quella mafiosa, che si respira in certi ambienti fin dai primi momenti di vita e in ogni dettaglio dell’educazione impartita ai giovani, spesso anche in modo inconsapevole; e cultura è quella che cerchiamo di proporre noi operatori attraverso le nostre attività scolastiche e trattamentali. Quella di Rallo è la dimostrazione diretta, vissuta sulla propria persona, di questo passaggio dalla cultura di origine a quella che gli è stata offerta come opportunità di studio, di conoscenza, che lui ha saputo trasformare anche in testi teatrali che raccontano il fenomeno mafioso dalla sua genesi agli sviluppi contemporanei.

A chi gli faceva i complimenti per questo suo esemplare percorso di reinserimento sociale, Rallo rispondeva: “Io serio ero allora e serio sugno ora”. In una frase c’è tutto un programma, lo sforzo che la nostra società deve fare nel cogliere le potenzialità, anche in termini di semplice affidabilità, laddove esse si manifestino; evitando di lasciare parti di territorio in cui, nell’assenza dello Stato, vanno ad affermarsi altri valori, altri poteri, altri sistemi normativi. Dobbiamo cercare di mettere a frutto, auspicabilmente a servizio della legalità, le migliori risorse umane, come giustamente ha fatto il colonnello nella sua attività di scouting per i giovani studenti che mostrano particolari competenze informatiche, da impiegare all’interno della Direzione telematica della Guardia di Finanza per una sempre più efficace lotta alla criminalità.

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