Il licenziamento di sei operai al ritorno in fabbrica a seguito di 15 giorni di quarantena fiduciaria ha portato alla luce una serie di accuse da parte dei lavoratori alla Miliardo Yida di Pontecurone, azienda della provincia di Alessandria che si propone come modello di economia circolare con oltre 2mila tonnellate di materiali plastiche riciclati ogni mese. “Hanno usato il pretesto di un ‘cessato rapporto di fiducia’, colpevolizzandoci per aver rispettato la legge italiana che impone la quarantena al ritorno dal nostro paese, dov’eravamo andati nel periodo di chiusura aziendale – spiegano i lavoratori licenziati davanti al Comune dove si sono recati a incassare la solidarietà del sindaco Rino Feltri – ma guarda caso sono stati licenziati, a voce e senza alcuna comunicazione ufficiale, gli iscritti al Si Cobas che dopo anni di sfruttamento avevano deciso di alzare la testa e produrre le prove delle condizioni di assenza di sicurezza alle quali erano sottoposti”.

L’accusa, sostenuta con denunce all’ispettorato del lavoro e l’ufficio Spresal dell’Asl, viene mossa ai danni di una società che, sul proprio sito web, si definisce “giovane e dinamica”, come lo è il suo amministratore di origine cinese Chen ‘Valerio’ Fule, una fabbrica al passo dei tempi di transizione ecologica dove “lavorano a stretto contatto diverse culture in piena sinergia con i principi dell’economia circolare e della green economy”. Qui, nell’agosto 2019, la Guardia di Finanza verificò che 54 operai, un numero pari al totale degli attuali lavoratori operativi alla Miliardo Yida, erano irregolari, mentre quattro stavano smistando rifiuti plastici totalmente in nero, senza aver firmato alcun contratto di lavoro. Quel blitz produsse una sanzione di 150mila euro, che non sono ancora stati pagati “perché abbiamo fatto ricorso, pensiamo di avere le nostre ragioni da difendere e non abbiamo ancora avuto alcun riscontro”, spiega Fule, che oggi ribadisce la stessa linea difensiva di allora: “Noi non c’entriamo nulla con le eventuali violazioni che avvengono all’interno della nostra struttura – ribadisce a ilfattoquotidiano.it – abbiamo solo 15 dipendenti, regolarmente assunti, gli altri 40 operai lavorano qui ma sono dipendono da una cooperativa a cui abbiamo appaltato la fornitura di manodopera, la ‘Logistica Italiana Srl’”.

Provando a contattare questa cooperativa, nessuno risponde; i lavoratori del Si Cobas sostengono sia solo una copertura, che nessuno li abbia mai visti né sentiti e che loro si siano sempre e solo interfacciati solo con lo stesso Fule, eppure il proprietario nega e rilancia: “Se i lavoratori licenziati, con i quali io non ho mai avuto nulla a che fare, dimostreranno di avere ragione nel merito delle ragioni del licenziamento, e se davvero le autorità riscontrassero carenze nell’ambito della sicurezza sul lavoro siamo disposti a cambiare la ditta che ci fornisce la manodopera”. Sarebbe la terza volta in pochi anni.

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